mercoledì 7 agosto 2013

Un'intervista con Vito Andrea Morra


Vito Andrea Morra
foto © Enrico Marzano
Cercando su Internet i musicisti più interessanti in Puglia, ho trovato un individuo veramente interessante. Vito Andrea Morra, professore al Conservatorio di Bari, insegna non solo il jazz – insegna composizione jazz. Questo fatto ha subito attratto la mia attenzione. Mi sono venute in mente moltissime domande.

LC: Allora, parliamo del jazz. Jazz ha una storia americanissima – dal Ragtime, al Dixieland, al Beebop, ecc. Comʼè che il jazz arrivò in Italia?

VAM: Non sono uno storico del jazz, ma credo che i primi dischi furono portati dagli americani alla fine dellʼultima guerra. E anche per radio cominciò ad arrivare qualcosa in quel periodo.

LC: Comʼè che Lei personalmente ha scoperto e si è interessato al jazz?

VAM: Avevo dischi in casa. E poi un mio maestro del conservatorio costituì una big band e io mʼinnamorai della scrittura per jazz orchestra.

LC: Di quali artisti aveva dischi?

VAM: Errol Garner. Duke Ellington. Armstrong.

LC: Cʼerano altri dischi in casa, di musica classica, oppure di musica popolare tipo “Aldilà” e “Come prima”?

VAM: Un poʼdi classica e qualche disco dei Beatles che amo moltissimo.

LC: Allora, di tutti questi dischi, La colpivano i dischi di jazz. Perché?

VAM: Mi piaceva. Ero bambino. Non so perché. Forse il ritmo. E anche la varietà dellʼimprovvisazione, anche se io allora non lo sapevo che era improvvisazione.

LC: Il fatto che, dopo 1900, la musica classica non abbracciava più lʼimprovvisazione e ci fu un bivio fra il jazz (improvvisazione) e la classica (musica scritta) – da giovane riteneva già importante per lei che il jazz offrisse possibilità dʼimprovvisazione, mentre la musica classica non offriva questa possibilità?

VAM: Sì. Da ragazzo improvvisavo con la chitarra elettrica su blues e rock. Poi a 18 anni ho cominciato a studiare chitarra classica al conservatorio e mi sono diplomato a 24 anni.

LC: Diplomato in chitarra classica?

VAM: Sì. Ma ho sempre suonato anche lʼelettrica.

LC: Cʼerano altri musicista nella Sua famiglia?

VAM: No, io sono lʼunico musicista in famiglia.

LC: Anchʼio.

VAM: Poi ho sposato una violinista.

LC: La moglie suona di stile Grappelli, o suona i classici?

VAM: Suona in orchestra sinfonica.

LC: È conosciuto in Italia Joe Venuti, violinista di stampo grappelliano?

VAM: Sì, certo. A Bari cʼè anche un bravo violinista jazz.

LC: Ah sì? Come si chiama?

VAM: Leo Gadaleta.

LC: Chi sono i jazzisti italiani più leggendari che vivono ancora?

VAM: Franco DʼAndrea. Bruno Tommaso. Giorgio Gaslini. Amedeo Tommasi. Giancarlo Gazzani. Gianluigi Trovesi. Alcuni più anziani sono morti.

LC: Trovo interessantissimo questo concetto di tutti questi jazzisti leggendari, non americani ma italiani! Io essendo un musicista “classico,” queste sono terre ignote per me. Ma ho divagato dal soggetto della Sua crescita e le prime influenze musicali. Che musica piaceva ai suoi genitori? Ai nonni?

VAM: Ai nonni classica e canzoni, ai miei genitori un poʼ di tutto, anche il jazz.

LC: Che pensavano i genitori e i nonni che a Lei piaceva tutta questa musica americana?

VAM: Erano contenti. Ma non immaginavano che la musica sarebbe diventata la mia professione.

LC: Mi tolgo il cappello davanti a Lei. Fare una carriera nella musica, perfino a Milano o a Roma, è una cosa difficile. Farla a Bari devʼessere una cosa difficilissima.

VAM: In realtà ho iniziato subito ad insegnare. E questo mi ha permesso di vivere. Ho suonato poco la chitarra perché nel 1991 ho avuto la distonia focale alla mano destra, e ancora non sono guarito.

LC: Ah! Comʼè successo a Leon Fleischer e Gary Graffman.

VAM: Esatto. Ma io non ho mai pensato di essere un chitarrista. Già scrivevo molti anni prima di avere la distonia.

LC: Che tipo di musica scrive?

VAM: Scrivo per big band, coro a cappella, orchestra sinfonica con o senza rhythm section, ecc. Io sono soprattutto un arranger.

LC: È popolare in Italia la musica americana?

VAM: In Italia il jazz è una musica per pochi.

LC: Interessante. Se è una musica per pochi, di dove vengono gli studenti? E cosa fanno dopo che si sono laureati?

VAM: In estate ci sono molti festival di jazz. Cʼè una fascia di pubblico che segue il jazz. I giovani suonano nei club.

LC: Per una posizione come la Sua al conservatorio, esiste una specie di “incarico di ruolo”?

VAM: Sì, io sono di ruolo.

LC: In America questo sarebbe impossibile. I conservatori sono privati, non statali. Quindi lʼincarico di ruolo non esiste. Esiste solo per i professori universitari, e anche lì si deve navigare il “tenure track.” Perciò, ripeto, mi levo il cappello davanti a Lei. Ha costruito una carriera stabile, nella musica – una “musica per pochi” – e lʼha fatto nel Sud dʼItalia. Mi sembra quasi un miracolo.

VAM: Ci sono tanti musicisti bravi a Bari. Ma pochi arrangers. In Puglia siamo solo 2 o 3 a scrivere arrangiamenti professionalmente.

LC: In tutta la regione? Wow.

VAM: Io faccio pochi concerti perché la mia musica è per grandi orchestre. Questʼanno ho diretto sette concerti dei miei arrangiamenti symphonic jazz delle canzoni napoletane.

LC: Allora, abbiamo parlato di Lei come concertista e come compositore/arrangiatore. Parliamo adesso di Lei come professore della composizione di jazz. Come sʼinsegna la composizione di jazz?

VAM: Si studia molta armonia.

LC: Per i musicisti classici, lʼarmonia che si studia comincia con Bach. Dove comincia lo studio dellʼarmonia per i Suoi studenti?

VAM: Tonale, modale, armonia funzionale di base e armonia estesa.

LC: Tonale, ma quale tonale? Tonale come Palestrina o tonale come Gershwin?

VAM: Io parto dalle basi di armonia classica e introduco subito lʼarmonia funzionale, i chord symbols e le tensioni. Da qui poi si continua studiando come gli accordi possono essere arricchiti, cambiati, aumentati di numero e sostituiti.

LC: Qual è il futuro di jazz, e della musica in genere?

VAM: Non lo so, ma credo che il jazz possa offrire grandi possibilità a chi lo studia perché stimola la creatività e cura sia lʼaspetto esecutivo che compositivo.

LC: In unʼintervista nel 1988, il trombonista J. J. Johnson disse, “Jazz is restless. It wonʼt stay put and it never will.” Secondo Lei, cosa voleva dire?

VAM: Forse intendeva che il jazz è creativo, è libero ed offre spazio ad una continua sperimentazione ed evoluzione.
Bari
Foto: jovinacooksitalian.com

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