sabato 9 febbraio 2013

'A Menesta Maretata co' 'a Pizza Jonna


Saluti dal Massachusetts, ove vi scrivo da sotto a 60 centimetri di neve!

Non vi preoccupare: ci hanno dato moltissimo avviso in anticipo.  Perciò, mercoledì già sognavo di quale piatto sceglierei di fare durante la bufera.

Il piatto preferito agli irpini è la minestra maritata con la pizza di polenta. Ogni cuoco in Avellino la fa, anche se la faccia solo d’inverno.

Non avevo mai fatto ’a menesta.  La sognavo di recente per due ragioni: (1) Siamo indubbiamente in inverno! (2) Una settimana fa, Frank Fariello, autore di “Memorie di Angelina” (memoriediangelina.com), il miglior foodblog italoamericano dell’Internet, ha postato una ricetta eccellente per la minestra maritata.  (Angelina era di Apice, paese beneventano che confina con Avellino.)

’A menesta maretata fu il precursore del piatto delizioso ma stupidamente intitolato “Italian Wedding Soup,” servita a quasi ogni festa nuziale italoamericana.  Ma la parola “maritata” riferisce al matrimonio delle verdure e le carni.

Passo I: Il brodo di carne

È preferibile fare il brodo un giorno prima, cosicché lo strutto venga a galla e s’indurisca.  Nel caso mio, essendo nelle grinfie della bufera di neve, non ho sprecato lo spazio nel frigo; ho messo la pentola alla veranda!

Fino a un certo punto, usate le carni che avete.  Un mio cugino montefalcionese, Raffaele S. Ciampa, usa le salsicce e la pancetta. “Poi se veramente la vuoi tradizionale,” continua Raffaele, si aggiungono “un piedino di maiale, una coda di maiale, un’orecchia di maiale, cotechini, salsicce piccanti. Uno di questi a piacere. Anche questi erano affumicati.” (Certi cuochi, come Frank Fariello, preferiscono di non mettere le carni affumicate.)

Le carni che avevo in casa:

salamino piccante
pancetta
un pezzo della pancia salata di maiale

Per le aromatiche, vedete dalla foto che ho usato:

cipolla
sedano
carota
qualche pomodoro (perché ce l’avevo in frigo)
patate
foglia d’alloro
scorzia d’arancia
bastoncino di cannella
crosta di parmigiano
pepe nero (non occorre sale)
altre cianfrusaglie dal freezer (avevo per caso i gambi dei friarielli)
acqua per coprire tutto

Di solito faccio il brodo nel crockpot.   Ma cos’è un crockpot?  Un crockpot è una pentola a cottura lenta, un apparecchio che ogni persona professionale deve per forza avere.  Mo’ faccio una digressione sul crockpot, per spiegarvi come lo si usa.  (Segue una ricetta di esempio.) Vi svegliate alla mattina.  Andate nel freezer e togliete un pezzettone (1-1,5 kg) di manzo congelado — ma congelado, come un macigno, come la Rocca di Gibilterra.  Lo mettete nel crockpot.  Aggiungete gli ortaggi.  Aggiungete una bottiglia di vino rosso, oppure 750 mL di acqua. Mettete il coperchio. Premete un pulsante.  Andate al lavoro.  Non state pensando del crockpot, perché cuoce lenta lenta, e quando sono trascorse le ore prestabilite, il crockpot si spegne automaticamente.  Tornate a casa alla sera, e mo’ la Rocca di Gibilterra è così morbida che non vi serve un coltello. Capite quel che vi sto dicendo? Poi, i sapori del sugo sono perfettamente amalgamati; il gusto del vino non spicca. E quanto tempo ci voleva per preparare questo secondo magistrale? Cinque o dieci minuti! (Quanto sopra è una ricetta di esempio per il crockpot che non ha niente a che fare con la minestra. Ora torniamo alla nostra ricetta!)


Il brodo di carne è pronto.  A quattro recipienti, separate: lo strutto che è salito a galla; le carni; le patate; e il brodo.

(Una breve digressione: Già vi ho detto che ho messo i gambi dei friarielli — di solito duri e amarissimi, adesso tèneri e gustosissimi!  Li ho conservati; oggi o domani li triterò a pezzettini e li metterò con la pasta. Gnam!)

Passo II: La polenta

Per fare la polenta, io uso sempre la ricetta di Lidia Bastianich (anche se lei sia settentrionale).

1 L acqua, oppure 500 mL acqua + 500 mL latte, per fare un gusto più ricco
15 g burro non salato (Cugino Raffaele usa invece 50 g strutto)
1 foglia d’alloro (Questa volta l’ho omessa; già c’erano delle foglie nel brodo)
15 g sale grossolano
250 g farina di granturco grossolana

Nella pentola, portate insieme tutti gli ingredienti tranne la farina. Fateli cuocere a fiamma lenta. Pian piano, setacciate la farina nella pentola con le dita di una mano. Con l’altra mano, mescolate costantemente con un cucchiaio di legno.  Poco a poco fate setacciare la farina rimasta, mescolando sempre. Abbassate la fiamma. Continuate a mescolare finché la polenta sarà spianata e spessa e si tirerà dai lati della pentola quando mescolata (c. 30 minuti). Eliminate l’alloro.

A questo punto, avete due scelte: (1) Versate la polenta sopra un gran tagliere di legno e fatela riposare, a temperatura ambiente; (2) Versate la polenta in una o due teglie e mettetele nel frigo.   (Leggete il Passo IV per decidere che tipo di “pizza” farete.  Poi saprete quale delle due scelte volete fare.)

Passo III: Le verdure

Ripeto quel che ho detto sopra: fino a un certo punto, usate quel che avete in frigo.

Tradizionalmente, cose erano le verdure della minestra maritata?

A Torre le Nocelle, paesino irpino vicino a Montefalcione (mia bisnonna fu torrese), usano una mista di verdure che si chiama “asciatizza”: cicoria, taràssaco, cime di finocchio selvatico, borragine, e “cardilli” (cioè, cicorione, che si chiama anche cicoria di catalogna, puntarelle, ecc.).

Cugino Raffaele suggerisce i seguenti: cavoli, verza, scarola, cicoria, friarielli, cardilli.  Frank Fariello menziona anche broccolo di foglia (nel Nord si chiama broccolo fiolaro), torzella (chiamata anche cavolo greco, torza riccia), e “scarolella” (una scarola selvatica campane).

Le tre verdure che io avevo in frigo hanno fatto un bel trio:

collard greens (specie di cavolo nero toscano, comunissimo in America, con foglie grandi e belle)
cicoria
taràssaco

Dai collard greens togliete i gambi, che sono duri come i gambi della bietola.

Dalla cicoria togliete solo il fondo. Ma lavate benissimo i gambi.

Con il taràssaco, le foglie sono delicate e interessanti. I gambi, comunque, sono moltissimo duri e amari.  Toglieteli.

Il brodo separato sta sul fuoco, bollendo molto lentamente. (È già cotto; dovete solo tenerlo caldo, non farlo evaporare.)

Il mio metodo per fare le verdure a foglia non cambia mai; cambia solo il tempo di cottura. I collard greens ci vogliono c. 15 minuti, la cicoria c. 10 minuti, il taràssaco c. 5.

In una nuova pentola, mettete lo strutto del brodo (meno autenticamente, olio d’oliva). Fate soffrigere 4 o 5 spicchi interi d’aglio, non tagliati, e peperoncino secco. (Non usate quel fresco in questo caso.)  Quando l’aglio è dorato, aggiungete 1 o 2 mestoli di brodo. (Un mestolo = 1 tazza = 237 mL.) Aggiungete i collard greens e un pizzichino di sale.  Fateli cuocere per 5 minuti.  Aggiungete la cicoria, 1-2 mestoli di brodo, un pizzichino di sale, e fatela cuocere per 5 minuti.  Aggiungete il taràssaco, 1-2 mestoli di brodo, un pizzichino di sale, e fatelo cuocere per 5 minuti.  Dunque il tempo totale di cottura, dal momento che avete aggiunto i collard greens al momento che spegnete la fiamma, è 15 minuti.  Dopo di spegnere, aggiungete 400-500 g cannellini precotti (se dalla scatola, sciacquateli bene), le patate tagliate a cubi abbastanza grandi, e le carni. (Con i salamini, tagliate a medagli; con la pancia e la pancetta, separate a mano le carni.)

Passa IV: ’A pizza jonna

La “pizza bionda” ha molti nomi: ’a pizza ’e rarigno, pizza di granone, pizza di farina gialla. Si tratta della pizza di polenta. In Avellino si fa in una pentola di argilla (terrasecca, non terracotta) di nome “chinco.” Secondo torrelenocelle.com,
Mettere carboni ardenti nel chinco per una decina di minuti. Togliere la brage e dopo aver foderato l’interno del chinco con foglie di castagno versare la polenta, coprirla con uno altro strato di foglie ed un coperchio di stagnola. Infine seppellire il coccio sotto la cenere bollente e cuocere finché non si sarà formata sopra la pizza una crosta dorata e croccante.
Se siete come me, non possedete un chinco! Non vi preoccupare: ci sono molti metodi per fare la pizza di polenta, tutti autenticamente campani:

1. Al Passo II, versate la polenta su un gran tagliere di legno e lasciatelo solidificare, a temperatura ambiente.  Quando sarà indurita abbastanza, mettete la minestra sopra, portate il gran tagliere alla tavola, e buon appetito.

2. Togliete la teglia della polenta dal frigo.  Mettetela nel forno a 180º per una mezz’oretta. (Addendum, giugno 2020: Ho scoperto solo di ricente che mia nonna montefalcionese la faceva nel forno in una teglia di ghisa.)

3. Togliete la teglia della polenta dal frigo.  Affettatela.  Fate soffriggere le fette in una padella.  Allora, anticamente, la padella era di ghisa, stagionata non con l’olio d’oliva ma con lo strutto! Il risultato era una padella antiaderente, fuor della quale ogni cibo che emerse fu gustoso! A questo punto non sarete sorpresi sapere che i nostri avi facevano soffriggere le fette di polenta nello strutto.

Di solito, io ne faccio il terzo.  Di solito oggidì le padelle sono di acciaio inossidabile oppure di una superficie antiaderente come Teflon.  Io uso una meravigliosa padella di ceramica-titanio che si chiama Scanpan.  Ma ieri!  Ieri, ho fatto qualcosa un po’ diversa!
Ho preso l’apparecchio più americano che ho in casa: la George Foreman!  Nome completo: The George Foreman Lean Mean Fat-Reducing Grilling Machine!  Il concetto è brillante.  È una griglia elettrica che si usa nella cucina.  La superficie è inaderente. Cuoce sopra e sotto simultaneamente.  E la parte più brillante: la base è in pendenza. I grassi fluiscono via dal cibo.  Non a causa di un processo complicato scientifico, ma a causa della gravità.

Ho soccombuto alla coscienza. Ho unto la griglia con l’olio d’oliva.
Passo V: Il Matrimonio

Sul piatto mettete la polenta. Di sopra mettete ’a menesta.  Cospargete con pecorino romano oppure caciocavallo. 


Addendum: Abbinamento di vini

Con la menesta, a me piace un vino bianco campano pien di carattere. Sono particolarmente affezionato al Falanghina, un vitigno con una lunghissima storia. Due cantine irpine fanno un Falaghina eccezionale: Feudi di San Gregorio e Donnachiara.

Comunque, molti irpini preferiscono un rosso con la menesta. Quando ho domandato a Ilaria Petitto, direttore generale di Donnachiara, qual è il miglior vino per abbinarsi con la menesta, lei ha risposto così: Io suggerirei sulla minestra maritata un vino rosso di media struttura, esempio Irpinia Aglianico D.O.C., cioè un Aglianico che fa solo 6 mesi di barrique, quindi ha una certa struttura e corpo; non prevarica come farebbe un Taurasi molto più imponente, ma ha un equilibrio tale tra morbidezze e durezze da asciugare bene i grassi dei vari componenti della minestra. (Per leggere il resto dell’interessantissima intervista con la sig. Petitto, cliccate qua.)

4 commenti:

  1. Ciao Leonardo, che piacere scoprire quest'altro tuo blog, intriso di memorie e di storia!
    Bella la ricetta, che emozione il chingo!
    Anche noi qui a Marcianise avevamo la nostra versione, che chiamiamo migliaccio (sul mio blog puoi trovare un post che gli ho dedicato), ma nonostante le differenze siamo accomunati da un unico passato e un unico bagaglio di valori. Grazie per il tuo prezioso contributo!

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    1. Marcianise! Avevo un'amica carissima di Aversa! Ad ogni modo, grazie infinite per il tuo comment, che apprezzo tantissimo, credilo pur. Se inserisco un po' di storia e memorie, non e' solo per la nostalgia. E' per il desiderio di distinguere fra le tradizioni autentiche e le idee nuove. Sia nella musica, sia nella cucina, ODIO quando qualcuna non distingue fra l'originale e l'interpretazione. Purtroppo sono lontano cronologicamente e anche geograficamente; qua a Boston e' difficilissimo trovare certi ingredienti. Ma sai, nella vita e' meno importante imitare qualcuna/o e piu' importante cercare quel che lei/lui cercava. Intanto, grazie di nuovo!

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  2. sempre interessanti e zeppi di notizie bravo come sempre!!!

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    1. Sei troppo gentile! Grazie, cara, per le parole che apprezzo piu' che sai.

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