La storia inverosimile della parmigiana di pollo di Leonardo Ciampa L’immensa popolarità della parmigiana di pollo (“Chicken parm”) negli Stati Uniti è pienamente giustificata. È uno dei piatti più deliziosi e uno dei miei preferiti personali. In un momento in cui cerco il “comfort food”, questo è il piatto a cui mi rivolgo più spesso di qualsiasi altro. E io dubito che perfino il gourmet italiano più snob possa trovare un legittimo difetto nella troika di una buona cotoletta impanata, una buona salsa e un buon formaggio. Ma dove nacque questo piatto? La storia è molto interessante e molto complessa. Una cosa che sappiamo con certezza concreta è che la preparazione che oggi chiamiamo “parmigiana” è originaria della Sicilia. La stratificazione delle melanzane con salsa di pomodoro e formaggio non ha niente, assolutamente niente, a che fare con Parma o con il formaggio parmigiano. Nientissimo. In Italia le finestre hanno spesso le persiane in legno. La parola siciliana per persiana è parmiciana. Così, quando i siciliani impilavano strati di melanzane, salsa e formaggio, la chiamavano parmiciana. Durante l’occupazione borbonica dell’Italia meridionale (1735-1861), nel Regno delle Due Sicilie, i napoletani corruppero la parola parmiciana in parmisciana. Ulteriori corruzioni lo portarono in parmigiana. In questo periodo furono pubblicati in Italia due libri di cucina molto importanti: Il cuoco galante (1773) di Corrado e Cucina teorico-pratica (1837) di Cavalcanti. Cavalcanti diede la prima ricetta conosciuta della “Molignane a la parmisciana”: fette di melanzane fritte (ma non impanate) e condite con formaggio grattugiato, foglie di basilico e ragù oppure salsa di pomodoro senza carne. Corrado diede ricette di vari piatti che chiamò “parmegiana”. L’unica cosa che queste diverse ricette hanno in comune è che includono il formaggio parmigiano. Altrimenti, i piatti sono completamente diversi. E nessuno di loro ha niente a che fare con la procedura “parmigiana” di oggi. Ma non è la fine della storia ... A pagina 36 si legge un’affascinante ricetta. In questa ricetta Corrado lessa le orecchie di vitello, le scola e le passa nella farina, poi nell’uovo, poi in un impasto di pangrattato e parmigiano. (Niente salsa, niente stratificazione.) Cotte lesse le Orecchie del Vitello, e fatte poi freddare, s’infarinano, si tuffino nelle uova, e nel pane e parmegiano grattato s’involtino: e così in istrutto si friggono per servirle calde con petrosemolo intorno. Ah! Questa è la prima apparizione nota in un libro di cucina non solo di vitello fritto e impanato, ma è il primo esempio conosciuto del procedimento farina-uova-pangrattato. Oggi i francesi sono famosi per questo procedimento. Tuttavia la sua prima apparizione non fu in un libro di cucina francese, ma in uno italiano! Ma come siamo passati dalla parmigiana di melanzane non impanata alla parmigiana di vitello impanata? Ci voleva un po’ prima che il vitello trovasse la strada per la Sicilia. Storicamente i siciliani mangiavano così poca carne che, fino all’anno 1500 circa, non c’era alcuna parola in lingua siciliana per carne commestibile. È vero questo – la parola proprio non esisteva! Le parole càmmaru, scàmmaru e cammaràrisi – e infatti le parole napoletane càmmaro, scàmmaro e cammarà – non risalgono a più del 1500. La Sicilia alla fine scoprì il vitello. Le “cotolette alla palermitana” sono cotolette di vitello impanate. Comunque il pangrattato viene attaccato alla carne non con l’uovo ma con l’olio d’oliva. E le cotolette sono cotte in forno, non fritte. D’altronde, il pangrattato in senso generale ha un posto più prominente nella cucina siciliana che non in quella milanese, o addirittura napoletana. Originari della Sicilia sono i famosi spaghetti con la mollica di pane o gli ancora più famosi anelli di calamari impanati. Quindi, è ovvio che la Sicilia ci portò l’amore per i cibi impanati e che Napoli (non la Francia) ci portò la procedura farina-uovo-pangrattato. E mentre ci possono essere dubbi sulla provenienza della “parmigiana,” non c’è dubbio che Napoli ci abbia portato la “pizzaiola,” l’irresistibile abitudine di condire la carne con salsa e formaggio. Ma perché tutti i libri e i sito web presumono che le cotolette di vitello discendano da Milano o da Vienna? Sicuramente la Cotoletta alla Milanese e la Wiener Schnitzel hanno molto in comune. Entrambe sono composte da carne di vitello. Entrambe utilizzano il procedimento farina-uovo-pangrattato. Entrambe sono fritte. Tuttavia, c’era pochissima immigrazione negli Stati Uniti da Vienna o da Milano. Come sarebbero arrivate qui entrambe le ricette? Possiamo eliminare Vienna: gli storici sono tutti d’accordo sul fatto che le cotolette di vitello impanate viaggiassero da Milano a Vienna, non viceversa. Esistevano infatti a Milano secoli prima che gli Asburgo li scoprissero. Ci sono in realtà due cotolette alla milanese distinte. C’è la buonissima braciola di vitello, un taglio di carne più spesso, con l’osso. Poi c’è quello che viene chiamato “orecchia d’elefante,” una cotoletta disossata che viene battute fino a renderla sottile. Ovviamente la Wiener Schnitzel è una discendente della seconda. Se è vero che a Milano le cotolette di vitello impanate esistano da secoli (forse fin dal Medioevo), non c’è una spiegazione plausibile perché la parmigiana di vitello sia arrivata negli Stati Uniti da Milano. Infatti, a meno che qualcuno non scopra una ricetta farina-uovo-pangrattato in un ricettario milanese precedente a Corrado, l’unica conclusione che possiamo trarre è che i milanesi hanno imparato a fare le loro cotolette dai napoletani. Infatti, non capita spesso che la cucina milanese e quella napoletana vengano citate nella stessa frase! Comunque questa è la transizione perfetta verso lo straordinario racconto di un piatto che si chiama “Cotolette alla Napoletana,” che (inverosimilmente) nacque in Argentina (!) e (ancora più inverosimilmente) fu chiamato “Milanese alla Napoletana”! Secondo la leggenda argentina, negli anni Quaranta nel quartiere Palermo di Buenos Aires, il Ristorante Nápoli era posseduto e gestito da tale Jorge La Grotta. Un giorno, un cliente abituale entrò e ordinò la sua solita milanesa. Il cuoco, però, aveva terminato il suo turno e a provvedere fu un suo aiutante. Quest’aiutante aveva più entusiasmo che talento; bruciò un lato della cotoletta. Per rimediare al pasticcio decise di coprire la “ferita” con pomodoro, prosciutto e mozzarella, per poi passarla nel forno al fine di cuocere e fondere gli ingredienti “intrusi.” Il racconto narra che la novità piacque all’avventore e divenne una specialità del Ristorante Nápoli. Le fu dato il nome “Milanesa a la Nápoli.” Divenne il fiore all’occhiello del ristorante che a fine anni ’40, inizio anni ’50 fu il piatto più amato e richiesto. La popolarità del piatto si diffuse in tutta l’Argentina e il nome fu corrotto in “Milanese alla Napoletana”. (Questo aveva quasi senso, siccome la combinazione di salsa e formaggio ricordava una pizza.) Ora per la parte più inverosimile della storia: questa ricetta arrivò a Napoli e si affermò come un piatto popolare di nome “Cotoletta alla Napoletana”! Qui negli Stati Uniti, la parmigiana di vitello è ancora consumata in America con una certa frequenza. Comunque, è facile capire le ragioni per cui il pollo è diventato più popolare: la ragione finanziaria, la ragione dietetica e l’opposizione alla crudeltà sugli animali. Mi piace mangiare la parmigiana di pollo in un cuzzutiello, stile napoletano. Per essere chiari, a Napoli non si fa: laggiù ’o cuzzutiello si riempie con le polpette e il sugo di pummarola. Però riempito con la parmigiano di pollo, credimi è stupendo! In America ’o cuzzitiello non esiste proprio. Si usa il panino “sottomarino,” un panino cilindrico diviso longitudinalmente. A Boston questo pane si chiama “spuckie” (pronunciato “spachi”), da “spaccatella”. In ogni caso, io certamente non condono l’abitudine americana di servire la parmigiana (o la marsala, o la piccata) sopra un letto di pasta. Chiunque abbia pensato a quella stupidaggine, non posso dirvi. |
The improbable history of chicken parmigiana by Leonardo Ciampa The immense popularity of Chicken parmigiana (“Chicken parm”) in the United States is fully justified. It is one of the most delicious dishes, and one of my personal favorites. In a moment when I am seeking “comfort food,” this is the dish to which I turn more often than any other. And I doubt that even the snobbiest Italian gourmet could find legitimate fault with the troika of a good breaded cutlet topped, a good sauce, and good cheese. But where on earth did this dish originate? The history is very interesting, and very complex. One thing we know with concrete certainty is that the preparation which we today call “parmigiana” originated in Sicily. Layering eggplant with tomato sauce and cheese has nothing – absolutely nothing – to do with Parma or Parmesan cheese. NOTHING. In Italy, windows often have wooden shutters called persiane. The Sicilian word for persiana is parmiciana. Thus, when Sicilians stacked layers of eggplant, sauce, and cheese, they called it “parmiciana.” During the French occupation of Southern Italy (1735-1861), in the Kingdom of the Two Sicilies, the Neapolitans corrupted the word “parmiciana” to “parmisciana.” Future corruptions brought it to “parmigiana.” There were two very important cookbooks published in Italy during this era: Corrado’s Il cuoco galante (1773) and Cavalcanti’s Cucina teorico-pratica (1837). Cavalcanti gives the first known recipe for “Eggplant parmisciana”: slices of eggplant, fried (but not breaded) and layered with grated cheese, basil leaves, and either a meat ragù or a meatless tomato sauce. Corrado gives recipes for various dishes that he calls “parmegiana.” The only thing any of them have in common is that they include parmesan cheese. Otherwise, the dishes are completely different. And none of them has anything to do today’s parmigiana. But that’s not the end of the story … On page 36 there is a fascinating recipe. In this recipe, Corrado boils veal’s ears, drains them, and dips them in flour, then egg, then a mixture of breadcrumbs and parmesan cheese. (No sauce, no layering.) Veal ears cooked, drained, and then cooled, floured, dipped in egg, and rolled in bread and grated Parmegiano; they are fried in lard and served hot, garnished with parsley. Aha! This is the first known appearance in a cookbook not only of fried and breaded veal, but it is the first known example of the flour-egg-breadcrumb procedure. Today the French are famous for this procedure. However its first appearance was not in a French cookbook, but in an Italian one! However, how did we get from unbreaded eggplant parm to the breaded veal parm? It took a while for veal to find its way to Sicily. Historically the Sicilians ate so little meat that, until around the year 1500, there was no word in the Sicilian language for edible meat. This is true – the word literally didn’t exist! The words càmmaru (edible meat), scàmmaru (food without meat) e cammaràrisi (to eat meat) – as well as the Neapolitan equivalents càmmaro, scàmmaro and cammarà – do not date back further than 1500. Sicily eventually discovered veal. Cotolette alla Palermitana are breaded veal cutlets. However, the breadcrumbs are stuck to the meat not with egg but with olive oil. And the cutlets are baked, not fried. Then again, breadcrumbs in a general sense are featured more prominently in Sicilian cuisine than than of Milan, or even of Naples. The famous spaghetti with breadcrumbs, or the even-more-famous breaded calamari rings, both originated in Sicily. Thus, it stands to reason that Sicily brought us the love of breaded foods, and Naples (not France) brought us the flour-egg-breadcrumb procedure. And while there may be doubts about the provenance of “parmigiana,” there is zero doubt that Naples brought us “pizzaiola,” the irresistible procedure of topping meat with sauce and cheese. But why do all the books and website assume that veal cutlets descended from either Milan or Vienna? Certainly Cotoletta alla Milanese and Wiener Schnitzel do have much in common. Both consist of veal. Both use the flour-egg-breadcrumb procedure. Both are fried. However, there was very little immigration to the United States from either Vienna or Milan. How would either recipe have arrived here? We can eliminate Vienna: historians all agree that breaded veal cutlets traveled from Milan to Vienna, not the other way around. In fact, they existed in Milan centuries before the Habsburgs discovered them. There are actually two distinct Milanese cutlets. There is the delicious veal chop, a thicker cut of meat, with the bone. Then there is what is called the “orecchia d’elefante” (“elephant’s ear”), a boneless cutlet which is pounded until thin. Obviously the Wiener Schnitzel is a descendant of the latter. While it is true that breaded veal cutlets have existed in Milan for centuries (possibly since the Middle Ages), there is no plausible explanation why veal parm would have come to the United States from Milan. In fact, unless someone discovers a flour-egg-breadcrumb recipe in a Milanese cookbook that predates Corrado, the only conclusion we can draw is that the Milanese learned to make their cutlets from the Neapolitans. Indeed, it is not often that the cuisines of Milan and Naples are mentioned in the same sentence! However that is the perfect segue to the remarkable story of a dish called “Cotolette alla Napoletana,” (“Neapolitan cutlets”), which (improbably) originated in Argentina (!), and (even more improbably) was named “Milanese alla Napoletana”! According to Argentine legend, in the 1940s, in the Palermo district of Buenos Aires, the Ristorante Nápoli was owned and operated by a certain Jorge La Grotta. One day, a regular customer entered and ordered his usual Milanese. The cook, however, had finished his shift. The Milanese was prepared by an underling. This underling had more enthusiasm than talent. He burned one side of the cutlet. To remedy the “wound,” he decided to cover it with tomato sauce, ham and mozzarella, then put it in the oven for a couple of minutes, in order to blend the added ingredients. The story goes that this new dish pleased the customer so much that it became a specialty of Nápoli Restaurant. It was called “Milanesa a la Nápoli.” It became the flagship of the restaurant and, in the late 40s, early 50s, was the most loved and requested dish. The dish’s popularity spread throughout Argentina, and the name became corrupted to “Milanese alla Napoletana.” (This almost made sense, whereas the sauce-and-cheese combination was reminiscent of a pizza.) Now for the most improbable part of the story: this recipe found its way to Naples and established itself as a popular dish called “Cotoletta alla Napoletana”! Here in the United States, Veal parm is still consumed in America with some frequency. However, it is easy to understand the reasons why chicken has become more popular: the financial reason, the dietary reason, and the opposition to animal cruelty. I like to eat chicken parmigiana in a cuzzutiello, a small loaf of crusty Neapolitan bread, excavated and filled. To be clear, in Naples, they do not do this. Over there, the cuzzutiello is filled with meatballs and sauce. However, believe me that filled with chicken Parm it is stupendous! In America the cuzzutiello does not exist. We use a submarine bread roll or sub. This role is called different things in different cities. In Boston it’s called a spuckie (from the Italian word spaccatella — spaccare means to break or split open). In any case, I certainly do not condone the American habit of serving chicken parmigiana (or Marsala, or piccata) on top of a bed of pasta. Whoever thought of that nonsense, I couldn’t tell you. |
Diario dell’Esperienza Italoamericana
A Journal of the Italian-American Experience
martedì 24 agosto 2021
La storia inverosimile della parmigiana di pollo / The improbable history of chicken parmigiana
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