sabato 8 febbraio 2020

La storia del pomodoro / The story of the tomato

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Il pomodoro è uno dei frutti più amati e più consumati del Nuovo Mondo. Ed è nato nel Nuovo Mondo. Eppure era quasi sconosciuto fino a quando non è passato attraverso il Vecchio Mondo! (La storia di Sir Walter Raleigh scoprendo il pomodoro e riportandolo in dono alla regina Elisabetta I, definendolo un “pomo d’amore,” è una fiaba che non ha nulla a che fare con la storia né del pomodoro né del suo arrivo nelle cucine europee.)

I pomodori ebbero origine probabilmente in Perù, anche se alcune fonti dicano Messico. Colombo non riportò i pomodori, ma gli esploratori europei li scoprirono nei decenni che seguirono i quattro viaggi colombiani.  Queste esplorazioni accaddero durante il Vicereame della Nuova Spagna, un grandissimo regno recentemente creato nel 1521. Nel suo periodo di massimo splendore la Nuova Spagna comprendeva tutta l’America Centrale, la maggior parte degli attuali Stati Uniti, un pezzo della Canadà, un po’ del Sud America e alcune isole. Il regno terminò esattamente 300 anni dopo (1821) con la Guerra d’indipendenza messicana e l’indipendenza centroamericana. Le ultime vestigia della Nuova Spagna furono sradicate nella guerra ispano-americana (1898).

Il 10 marzo 1572, il botanico-naturalista Costanzo Felici (1525-1585) scrisse una lettera a un altro botanico-naturalista, Ulisse Aldrovandi (1522-1605): “Pomo d’oro, cosiddetto volgarmente dal suo intenso colore, overo pomo del Perù, quale o è giallo intenso overo è rosso gagliardamente.”

Il medico-naturalista Pietro Andrea Mattioli (1501-1577) nella prima edizione del suo Dioscoride (1544) parlò del pomodoro giallo. Dalla seconda edizione dieci anni dopo (1554), aveva scoperto anche quel rosso: “in alcune piante rosse come sangue, in altre di color giallo d’oro.”

Nel 1585, il medico-botanico Castore Durante (1529-1590) scrisse in Herbario nuovo delle specie di pomodori sia gialle che rosse, pur sapendo che “i pomi d’oro mangiansi nel medesimo modo che le melanzane con pepe, sale e olio.”

Molto popolare nella Nuova Spagna era la salsa nahuana che oggi chiameremmo “salsa” (nel senso di “salsa messicana”), composta da pomodori, peperoncini, cipolle ed erbe. Il missionario francescano Bernardino de Sahagún (che era arrivato nella Nuova Spagna nel 1526), scrive di questa salsa, che lui ci dice si produceva dalle “donne Nahua.” I nahuani erano popolazioni indigene del Messico e dell’America Centrale, di cui gli Aztechi erano uno dei gruppi più grandi. Ed è molto interessante notare che la parola azteca per il pomodoro era tomatl (dalla quale venne la parola inglese).

Questa “salsa” era (ed è ancora) un condimento di pomodori crudi, mangiato a temperatura ambiente. (Non parlo della salsa commerciale in vasetto che si compra oggi.) La nozione di una salsa di pomodori cotti, mangiata calda, arrivò molto lentamente in Europa. Ricordate che, per molti anni, i pomodori si credevano fossero velenosi.

La prima apparenza (che conosciamo) del sugo di pomodoro in un ricettario venne da un cuoco famoso marchigiano, Antonio Latini (1642-1692). Lo scalco alla moderna fu pubblicato a Napoli in due volumi (1692 e 1694).  Vi leggiamo di una salsa di pomodoro “alla spagnola” fatta di cipolle, pomodoro, sale, olio e aceto. “Piglierai una mezza dozzina di pomadore, che sieno mature; le porrai sopra le brage, a brustolare, e dopò che saranno abbruscate, gli leverai la scorza diligentemente, e le triterai minutamente con il coltello, e v’aggiungerai cipolle tritate minute, a discrezione, peparolo [peperoncino] pure tritato minuto, serpillo [timo selvatico] in poca quantità, e mescolando ogni cosa insieme, l’accommoderai con un po’ di sale, oglio, & aceto, che sarà una salsa molto gustosa, per bollito, ò per altro.”

Durante il 1500 e il 1600, l’Italia meridionale fu governata dalla Spagna. Pertanto, è facile supporre come il pomodoro abbia viaggiato dalla Spagna a Napoli.

Poi arrivarono i francesi. Durante l’epoca borbonica del Regno delle Due Sicilie (1734-1860), c’era la meravigliosa impollinazione incrociata della cucina francese e quella partenopea. I francesi stavano già preparando ottimi stufati, grandi calderoni pieni di carni che cuocevano nel vino e negli aromatici per molte ore. Dai napoletani gli francesi ebbero l’idea di aggiungere pomodori a questo stufato. Poi i partenopei scoprirono che il sugo di questo stufato costituiva un ottimo condimento per la pasta. Ecco l’origine del ragù napoletano!

Nel frattempo, a Spaccanapoli venne l’invenzione di quella delicatezza che si chiama la pizza.

Quindi c’erano queste famose ricette utilizzando i pomodori — cioè, famosi nel Meridione. Nel Settentrione erano sconosciuti. (Credete che, tempo fa, si potesse trovare una pizzeria in Piemonte?)

Poi vennero gli Anni di Ellis Island, durante i quali la pizza e il sugo domenicale conquistarono la nazione.

Più tardi, per soddisfare i turisti americani, i settentrionali aprirono pizzerie. Così il pomodoro entrò nel Nord Italia. Ma non dal Sud Italia. Non dalla Spagna. Dagli Stati Uniti d’America!  Naturalmente, le altre nazioni europee seguirono l’esempio. Oggi potete mangiare la pizza e la pasta a Venezia o ad Amburgo o a Rotterdam.

Questa è la storia di come il pomodoro viaggiò dalle Americhe, in Spagna, a Napoli, negli Stati Uniti e poi in tutta l’Italia e l’Europa!
   The tomato is one of the most beloved, and most consumed, fruits in the New World. And it originated in the New World. Yet it was almost unknown until after it passed through the Old World! (The story of Sir Walter Raleigh discovering the tomato and bringing it back to Queen Elizabeth I as a gift, calling it an "apple of love" ("pomme d’amour"), is a fable which has nothing to do with the history of the tomato or its arrival in European kitchens.)

Tomatoes originated probably in Peru, though some sources say Mexico. Columbus did not bring back tomatoes, but the European explorers discovered them in the decades which followed Columbus's four voyages.  These explorations took place during the Viceroyalty of New Spain, a very large kingdom recently created in 1521.  In its heyday New Spain encompassed all of Central America, most of the present-day United States, some of Canada, a bit of South America, and several islands.  The kingdom ended exactly 300 years later (1821) with the Mexican War of Independence and Central American Independence.  The last vestiges of New Spain were eradicated in the Spanish-American War (1898).

On March 10, 1572, the botanist-naturalist Costanzo Felici (1525-1585) wrote a letter to another botanist-naturalist, Ulisse Aldrovandi (1522-1605): "Golden apple, so called because of its intense color. Also called Peru Apple.  It is either an intense yellow or a fierce red."

The physician-naturalist Pietro Andrea Mattioli (1501-1577) in the first edition of his Dioscorides (1544) spoke of the yellow tomato. By the second edition ten years later (1554), he he had also discovered the red variety: "in some plants red as blood, in others golden yellow."

In 1585, the physician-botanist Castore Durante (1529-1590) wrote in Herbario nuovo about both the yellow and red species of tomatoes, also knowing that the "golden tomatoes were eaten in the same way as eggplants, with salt, pepper, and oil."


Very popular in New Spain was the Nahuan sauce which today we would call "salsa," consisting of tomatoes, chili peppers, onions, and herbs.   The Franciscan missionary Bernardino de Sahagún (who had arrived in New Spain in 1526), writes of this salsa, which he said was made by "Nahua women."  The Nahuas were indigenous peoples from Mexico and Central America, of which the Aztec were one of the largest groups.  And it is very interesting to note that the Aztec word for this beloved fruit was tomatl.

This "salsa" was (and still is) a condiment of raw tomatoes, eaten at room temperature.  (I'm not talking about the commercial jarred salsa that you buy today.) The notion of a sauce of cooked tomatoes, eaten hot, came very slowly to Europe. Remember that, for many years, tomatoes were believed to be poisonous.

The first appearance (that we know of) in a cookbook of tomato sauce came from a famous chef from Le Marche, Antonio Latini (1642-1692). Lo scalco alla moderne ("The modern servant") was published in Naples in two volumes (1692 and 1694). We read about a "Spanish-style" tomato sauce made with onions, tomatoes, salt, oil and vinegar. "You will pick half a dozen tomatoes, which are ripe; you will put them on the grill, to brown, and after they are seared, you will carefully remove the skin, and mince it with the knife, and add minced onions, at your discretion, chili pepper also minced, a small quantity of serpillo [wild thyme], and mixing everything together, you will season it with a little salt, oil, & vinegar, which will be a very tasty sauce, for boiled meat, or for something else."

During the 1500s and 1600s, Southern Italy was ruled by Spain.  Thus, it is easy to surmise how the tomato traveled from Spain to Naples.

Then came the French.  During the Bourbon era of the Kingdom of the Two Sicilies (1734-1860), there was the wonderful cross-pollination of the French and Neapolitan cuisines.  The French were already making great stews, large cauldrons filled with meats which cooked in wine and aromatics for many hours.  From the Neapolitans the French got the idea to add tomatoes to this stew.  Then the Neapolitans discovered that the gravy from this stew made a fine condiment for pasta.  Thus the origin of the Neapolitan ragoût!

In the meantime, in Spaccanapoli came the invention of that delicacy known as pizza.

So you had these famous recipes using tomatoes — famous, that is, in Southern Italy.  In Northern Italy they were unknown. (Do you think that, back in the day, you could find a pizzeria in Piemonte?)

Then came the Ellis Island Years, during which pizza and the Sunday sauce conquered the nation.

Later, to satisfy the American tourists, the Northern Italians opened pizzerias.  Thus the tomato entered Northern Italy.  But not from Southern Italy.  Not from Spain.  From the United States of America!  Naturally, the other countries of Europe followed suit.  Today you can eat pizza and pasta in Venice or in Hamburg or in Rotterdam.

This is the story of how the tomato traveled from the Americas, to Spain, to Naples, to the United States, and then throughout all of Italy and Europe!



Una bella pizza dal ristorante Belli di Mamma, a ... Budapest! (Foto: Mudra László)
A beautiful pizza from the restaurant Belli di Mamma, in ... Budapest! (Photo: Mudra László) 

giovedì 6 febbraio 2020

"Nardelle" (delicious simple fritters)

Una nardella.
Io non sono molto appassionato per i dolci. Ogni tanto mangio un quadrato di cioccolato scuro al 90%. (Anche al 95%!) Ma aldilà di quello, io mangio raramente i dolci. Quindi, per qualcosina per mangiare con il mio caffè, io desidero sempre qualcosa di salato.

Spesso faccio questo: Sbatto un uovo con un cucchiaino di farina. Senza latte, senz’acqua. Solamente un uovo e un cucchiaino di farina.  A volte, aggiungerò uno dei sapori che si aggiungerebbero ai taralli pugliesi: o qualche seme di finocchio, o qualche macinata di pepe nero, o qualche fiocco di peperoncino, o — per la “Nardella sapore pizza” —  una piccola goccia di sugo avvanzato più una gratuggiatina di formaggio.  Così, semplice semplice. Le friggo o in evo o in burro (o, più raramente — ma più deliziosamente — nello strutto casereccio).

Poi mi sono domandato: come si chiamano ’ste cose ccà? Non è una frittella. Non è un pancake. Non è una crespella. Non è proprio una frittata, dovuto alla presenza di farina. Ma non è una crêpe, dovuto all’assenza di liquido. (I crêpe vengono dalle crespelle, che derivano dalla crispa romana. Una pastella spessa non fa le crespe nella padella.) Questo mio spuntino doveva avere già un nome — non potevo immaginare che l’abbia inventato io!

Ne ho scritto a diversi amici. Ecco, guarda: tutti mi hanno detto che ne sia l’inventore io, e che tocchi a me sceglierne un nome!

Be’, rimango scettico che di tutte le mamme impoverite di tutti i figli affamati per tutti i secoli, nessuna ci abbia mai pensato. Non si sarebbero resi conto che, dopo qualche minuto, il composto lievita un po’, consentendole di saziare i più grandi stomaci?

Anzi, so per certo che nel Sud quando si faceva i cotoletti impanati (sia uovo-pangrattato, sia farina-uovo-pangrattato), la pastella avanzata assolutamente non si buttava via. Anch’io faccio le frittelle da questa roba preziosa. (Piacciono tanto ai miei figli, specialmente con una spruzzata di limone.)

Ora, se volete scusarmi, ho sete de ’na tazzulell’ ’e caffè. Vediamo se rimanga un uovo nel frigo...

ADDENDUM (21 marzo 2020)
Ieri ho inventato la “Nardella Austriaca,” con due sapori: i semi di carvi e la paprika piccante ungherese. (Ho avuto questi due a portata di mano, perché spesso faccio il Gulasch.) In questo caso, friggetele o nel burro o nello strutto (ma non nell’olio di oliva).
   I do not have a sweet tooth. Every so often I eat a square of 90% dark chocolate. (Or even 95%!) But beyond that, I rarely eat sweets. Thus, for a little something to eat with my espresso, I always crave something savory.

Often I do this: I beat one egg with one teaspoon of flour.  No milk, no water. Just one egg and one teaspoon flour.  Sometimes I add one of the flavors that one would add to Puglia-style taralli: either a few fennel seeds, or a few turns of fresh ground black pepper, or a few red pepper flakes, or — for the "pizza-flavor Nardella" — a tiny drop of leftover sugo and a little grated cheese. That's it, very simple. I fry them either in EVOO or butter (or, more rarely — but more deliciously — in homemade lard).

Then I wondered: what do you call these things? They're not fritters. They're not pancakes. They're not crêpes. They're not really omelettes, due to the presence of flour. But they're not crêpes, due to the absence of liquid. (Crêpes come from the Italian crespelle, which derive from the Roman crispa, which means "wrinkle." A thick batter doesn't wrinkle in the pan.) This snack of mine had to already have a name — I couldn't imagine that I invented it!

I wrote about it to several Italian friends. Lo and behold: they told me that I am the inventor, and that it fell upon me to give it a name!

Well, I remain unconvinced that all of the impoverished mothers of all of the starving children for all of the centuries, no one ever thought of it. They didn't realize that, after a few minutes, the batter rises a little, making it possible to fill the larger stomachs?

In fact, I know for certain that in Southern Italy when they made breaded cutlets (be it egg-breadcrumbs, or flour-egg-breadcrumbs), the leftover batter absolutely would not be thrown away. Even I make fritters from this precious stuff. (My kids love them, especially with a squeeze of lemon.)

Now if you'll excuse me, I am thirsty for a cup of espresso. Let's see if there is an egg left in the fridge ...

ADDENDUM (21 March 2020)
Yesterday I invented the "Austrian Nardella," with two seasonings: caraway seeds and hot Hungarian paprika. (I had these two flavors on hand, because I often make Gulasch.) In this case, fry them either in butter or lard (but not olive oil).