sabato 6 novembre 2021

Il cenone dei 13 (o 7) pesci / The feast of the 13 (or 7) fishes

Pescatori a S. Stefano di Camastra (prov. di Messina)
(foto: Collezione Di Benedetto, scaricata da http://www.istitutoeuroarabo.it)
Fishermen at Santo Stefano di Camastra (province of Messina)
(photo: Di Benedetto collection, downloaded from http://www.istitutoeuroarabo.it)
La storia del cenone dei 13 (oppure 7) pesci

di Leonardo Ciampa
6 novembre 2021

In Calabria la tradizione di preparare esattamente 13 piatti di pesce la vigilia di Natale esiste da secoli, e continua senza interruzione fino ai giorni nostri. (Chi dice che “Nessuno in Italia la fa” non è mai stato in Calabria.)

Anche in Sicilia la tradizione è piuttosto forte. Al di fuori della Calabria (Sicilia, Puglia, Campania, ecc.) il numero di pietanze potrebbe essere 13, o 12, o 9, o 7. Tutti questi numeri avevano un riferimento biblico (13 per i commensali all’Ultima Cena, 12 togliendo Giuda, 9 per i mesi della gravidanza di Maria, 7 per le virtù). Dopo 13, 7 è il numero più comune. (In effetti, durante i periodi di grande povertà, 7 sarebbe stato un numero più gestibile.) Napoli non ha una forte tradizione di contare i piatti, tuttavia la sontuosità del loro cenone della vigilia di Natale è leggendaria! Il loro pasto contiene innumerevoli portate – spesso in eccesso di 13! – comunque, storicamente non li contavano. (Ci sono eccezioni. Un commentatore dalla provincia di Napoli mi disse che dai vecchi tempi la famiglia sua fa 7 pietanze.  Un altro dalla provincia di Salerno raccontò che da generazioni, la famiglia sua fa 13 portate.)

Durante gli anni di Ellis Island, una persona venne in America, ebbe 9 figli, ciascuno di loro ebbe 9 figli, e così via. Ecco come le tradizioni di un paesino potrebbero diventare famose in tutta l’America e poi in tutto il mondo. (Nel North End, la Little Italy di Boston, non è difficile camminare per strada e incontrare qualcuno la cui famiglia era di Montefalcione. Montefalcione è un paese irpino di soli 3000 abitanti!)

In inglese usiamo la parola “feast,” che significa “pranzone” o “cenone.” In seguito è stata tradotta erroneamente come “festa” – e per essere chiari, qualsiasi uso della parola “festa” per questa cena è di origine americana. Tuttavia, indipendentemente dal nome, sapevo assolutamente, quando nel 2017 ho iniziato a ricercare questa tradizione, che il pasto era di origine italiana (non il nome, ma il pasto). Non era possibile che fosse “inventato negli Stati Uniti.” L’idea che uno statunitense ipotetico di nome John Smith “insegnasse” la tradizione agli immigrati di New York era troppo assurda per essere presa in considerazione.

Tuttavia, poi è successo qualcos’altro. Pensate alla storia della pizza. La sua popolarità non si diffuse da Napoli verso nord al Settentrione. Si diffuse verso ovest fino a Ellis Island, e poi verso est nel Settentrione e nel resto del mondo. Lo stesso è accaduto con la Feast of the Fishes. La maggior parte dei napoletani con cui ho parlato che fanno un numero esatto di piatti lo fanno solo da poche generazioni (a differenza dei calabresi, che invece fanno 13 piatti da secoli ininterrottamente).

Il problema, però, è lo snobismo e l’ignoranza che contagiano la discussione. Poiché la stragrande maggioranza degli italoamericani è di origine meridionale, i settentrionali spesso diventano insicuri e sulla difensiva riguardo alle loro particolari tradizioni. Dicono: “Io sono italiano, e questo cenone non esiste, e ho chiesto a tutti i miei amici, e sono tutti d’accordo con me.” La loro logica è: “Nella mia città non lo fanno, quindi non è italiano.” Oppure, se si arrabbiano davvero, fanno un passo avanti e dicono: “Non lo mangiamo; è AMERICANO.” L’ultimo insulto culinario – peggio di, “Non è italiano,” peggio di “Non lo darei nemmeno al cane,” dicono, “Quel piatto è AMERICANO.”

Capisco davvero le basi dello snobismo verso gli americani.  Prima dell’avvento di Marcella Hazan, la cucina “italiana” si componeva da 5 o 10 piatti, ripetuti ripetutissimi ad infinitum.  Uno di questi era gli spaghetti con le polpette di carne.  E capisco benissimo la seccatura degli italiani quando gli americani visitano il Nord, entrano in un ristorante, e rimangono scioccati che gli spaghetti con le polpette non appaiano sul menù!  Credetemi pur: io sento la stessissima seccatura. Quando la gente guarda Il Padrino e I Soprano e ascolta Frank Sinatra e Dean Martin, e poi dice: “Cavolo, quanto amo la cultura ITALIANA!”, mi si accappona la pelle.

Ma io condanno lo snobismo dei settentrionali che poi rendono la dichiarazione falsissima che gli spaghetti con polpette “non sono italiani.” Ovviamente gli italiani non mettono le polpette al di sopra degli spaghetti. Ma non potete trovare un napoletano che non fa le polpette come secondo e utilizza lo squisito sugo per condire gli spaghetti per il primo.  Non potete trovare un libro di cucina napoletano che non contiene una ricetta per le polpette.  E considerate che lo chef rispettato Pellegrino Artusi, nativo dell’Emilia-Romagna ma residente a FIRENZE, scrisse quanto segue, ne La Scienza in Cucina e l’Arte di Mangiar Bene (1891):
Non crediate che io abbia la pretensione d’insegnarvi a far le polpette. Questo è un piatto che tutti lo sanno fare cominciando dal ciuco, il quale fu forse il primo a darne il modello al genere umano. Intendo soltanto dirvi come esse si preparino da qualcuno con carne lessa avanzata; se poi le voleste fare più semplici o di carne cruda, non è necessario tanto condimento.
Lui procede a dare una ricetta a base di carne tritata, pane bagnato nel latte, uova e condimenti, che poi vengono formati in palline che sono fritte. 

Le polpette sono uno dei tanti piatti in Italia in cui il sugo della carne condisce la pasta nel primo piatto, e la carne stessa è il secondo piatto. Un altro esempio – ce ne sono tanti – è l’Aglassato. Mica un piatto “statunitense,” l’Aglassato – infatti, è sconosciuto qua.

***

Oltre al baccalà fritto, che era un must, quali erano alcune delle specialità calabresi che si raffigurano fra le 13 pietanze della Vigilia?

Un commentatore di Paola (provincia di Cosenza) ha scritto: 
Il piatto principale, spaghetti cu la muddica ... Insalata di baccalà, baccalà San Giuanni stufato cu li vrucculi, baccalà frittu, finocchi e pastinachi crudi e essenziale i cudduriaddi i grispeddi, i turdiddri, i cassateddi e dolci vari con impasto con le uova e passati con la melassa di fichi, frutta secca e fresca, vino a volontà. La tavola si lascia apparecchiata e si lascia qualcosa per il Bambinello Gesù, e poi tutta la famiglia intorno al camino o al braciere sull’asse tondo.
Lo chef cosentino Francesco Algieri nel suo sito web descrive una scena molto simile:
I piatti principali che si preparano sono: un primo Spaghetti con alici e mollica di pane, in sostanza conditi con la mollica abbrustolita e le alici salate o sott’olio. Come secondo piatto invece si prepara il baccalà in tutti i modi, fritto, al pomodoro, con le olive. A questi due piatti si aggiungono poi ad esempio un primo con le vongole o con il sugo del baccalà, mentre per secondo le cozze gratinate, polipo e patate, fritto di paranza, e tante altre gustose preparazioni locali. Si mangiano, a fine pasto, lupini, castagne, arance, mele e dolci della tradizione: Turdilli, scalille, pitta ’mpigliata, chinulille. Un tempo le famiglie si riunivano intorno al focolare o intorno ai grandi bracieri e cenavano, alzandosi dal tavolo solo a notte inoltrata.
Un commentatore da Terranova da Sibari (dalla stessa provincia di Cosenza), offre un menu diversissimo:
Impepata di cozze, filatielli fatti a mano tipo scialatielli con sugo di pesce e broccoli, frittelle varie di mare e verdure, gamberetti fritti, gamberoni al forno, paranza, sauté di vongole, calamari in umido, seppie arrostite, orate al forno, pesce crudo ([con] il nostro rosmarino) su crostoni di pane, e poi frutta di stagione e frutta secca, dolci i cannaricoli fatti in casa con miele di fichi buonissimi, panettoni, lenticchie di mezzanotte.
Vedete, poi, che anche all’interno della stessa provincia le famiglie hanno menù diversi. La cosa in comune è che nessuna delle portate contiene carne. Quindi, si potrebbero intervistare persone in tutta la Calabria, e non ci sarebbe fine alle ricette e alle tradizioni! 

Immaginate, quindi, se si intervistino persone provenienti da altre parti d’Italia ... Ecco un esempio dell’ampia gamma di variazioni che si trovano:

* La maggior parte della gente fanno il cenone il 24 dicembre, ma molti lo fanno il 31 dicembre – per portare fortuna nel prossimo anno.

* Quasi tutti hanno detto che il numero 13 simboleggia il numero dei commensali all’Ultima Cena. Per il numero 7, la maggior parte ha detto che significhi il numero di sacramenti. Una persona l’ha spiegato in modo più cabalistico: 3 (per simboleggia la Santissima Trinità) + 4 (per simboleggia l’equilibrio). Tuttavia, c’è anche un’altra teoria – più pertinente al Natale – che il viaggio di Maria e Giuseppe da Nazareth a Betlemme durò sette giorni.

* Diverse persone, tra cui una di Acireale (Catania) e un’altra di Tiriolo (Catanzaro), hanno descritto una tradizione in cui, a fine cena, sul tavolo viene lasciata una piccola parte di tutte le 13 portate, più un tocchetto di pane, per gli angeli che durante la Notte Santa vengono a fare visita.

* La maggior parte di quelli che fanno 13 piatti hanno detto che molti dei 13 erano a base di pesci, ma non tutti – alcuni dei 13 erano portate di verdure e di dolci. 

* Un piatto comunissimo nella Sicilia era i cardi fritti in pastella. I cardi assomigliano al sedano, ma sono qualcosa di completamente diversa. Sono la pianta di cui il carciofo è il fiore. Forse questa spiegazione è superfluo per voi italiani. Negli Stati Uniti i cardi sono praticamente sconosciuti. 

* Per quanto riguarda l’anguilla, a.k.a. il capitone ... Era noto qua in America perché tutte le famiglie ce lo facevano, e anche perché a noi americani era così esotico, e così spaventoso, che ne derivavano tantissimi aneddoti! (“Poi per ammazzarlo Nonna ha picchiato la testa sulla tavola! BUM! Poi l’ha affettato, ma i pezzi si muovevano ancora!”) Ahimè, oggi non è tanto popolare come lo era nelle passate generazioni. Gli aneddoti rimangono, ma fra un’altra generazione, scompariranno anche loro. 

***

Il baccalà fritto in pastella non scomparirà a breve. Volevo trovarne una ricetta che avesse un’aria di autenticità. Dopo aver ricercato e letto molte ricette, ho trovato questa su www.monrealenews.it

RICETTA PER IL BACCALÀ FRITTO IN PASTELLA

Ingredienti

per quattro persone:

700 grammi di baccalà ammollato
150 grammi di farina di grano duro (semola rimacinata)
100 grammi di farina 00
25 grammi di lievito di birra
acqua tiepida
olio
sale e pepe q.b.

Preparazione

La preparazione del baccalà in pastella, comincia al “mattino del dì di festa”...

Sciacquate sotto l’acqua corrente il baccalà per dissalarlo ulteriormente e fatelo sbollentare, per qualche secondo, in acqua bollente non salata. Disponetelo su un canovaccio da cucina o una tovaglia, privatelo della pelle e delle spine, e lasciatelo riposare ed asciugare per almeno quattro ore.

Appena sarà completamente freddo, riducetelo in piccoli tocchetti, tenetelo da parte, sempre su un canovaccio asciutto, e preparate la pastella che dovrà lievitare per almeno un paio d’ore.

Sciogliete il lievito di birra in mezzo bicchiere di acqua tiepida. In una ciotola setacciate i due tipi di farina, unite il lievito di birra sciolto in acqua ed un pizzico di sale. Amalgamate accuratamente con un cucchiaio di legno o, meglio ancora, con le mani (la velocità del mixer, infatti, potrebbe compromettere la corretta lievitazione). Mescolate con cura, in modo da evitare la formazione di grumi. La consistenza ideale del composto dovrà essere semifluida. Se, invece, dovesse risultare troppo denso, diluite con qualche altro cucchiaio di acqua tiepida.

Coprite la ciotola con un telo e fate riposare la pastella, in un luogo riparato (l’ideale, per esempio, è il forno di casa; acceso e spento dopo un paio di minuti, tanto da raggiungere una temperatura appena tiepida). Trascorse due ore, osservate la superficie dell’impasto che, se presenterà delle piccole bolle in superficie, vi indicherà il raggiungimento di una ottimale lievitazione.

Prendete un pentolino abbastanza capiente e profondo (potete usare anche la friggitrice elettrica, avendo però cura, di lasciare aperto il coperchio, per evitare che il vapore condensando ricada nell’olio bollente, abbassi la temperatura e comprometta la consistenza croccante della pastella) e riempitelo abbondantemente d’olio. Accendete la fiamma.

Appena l’olio avrà raggiunto una temperatura elevata, passate alcuni pezzetti di baccalà nella pastella e tuffateli, pochi pezzi alla volta, nell’olio bollente.

Aiutandovi con una paletta forata (schiumarola), girate i pezzi di baccalà e spingeteli verso il basso, in modo da farli dorare omogeneamente. Il fritto deve letteralmente “nuotare” nell’olio. In questo modo, infatti, ne assorbe meno, risulta più digeribile ed assume anche un gusto più delicato!!! Man mano che i tocchetti di baccalà saranno dorati e croccanti, prelevateli e fateli asciugare su carta assorbente [oppure carta marrone – L.C.] e proseguite, fino a quando non avrete fritto tutto il pesce a vostra disposizione.

Servite i pezzetti di baccalà fritti su un piatto da portata precedentemente riscaldato, cospargendoli di un pizzico di sale e, se gradite, pepe nero macinato al momento.

Infine, per una pastella particolarmente croccante potrete sostituire parte dell’acqua con della birra bionda o con dello spumante [MOLTO freddo, quasi ghiacciato – L.C.].




  
The story of the feast of the 13 (or 7) fishes

by Leonardo Ciampa
6 November 2021

In Calabria, the tradition of exactly 13 fish dishes on Christmas Eve has existed for centuries, and continues without interruption to the present day.  (Anyone who says that “No one in Italy does this” has never been to Calabria.)

In Sicily, the tradition is also quite strong. Outside of Calabria (Sicily, Apulia, Campania, etc.), the number of dishes might be 13, or 12, or 9, or 7.  All of these numbers had a Biblical reference (13 for the guests at the Last Supper, 12 taking away Judas, 9 for the months of Mary’s pregnancy, 7 for the virtues).  After 13, 7 is the most commonly-found number. (Indeed, during the times of great poverty, 7 would have been a more manageable number.)  Naples does not have a strong tradition of counting the dishes, however the sumptuousness of their Christmas Eve meal is legendary!  Their meal contains innumerable dishes – often in excess of 13! – however, historically they did not count them. (There are exceptions. One commenter from the province of Naples told me that his family has had 7 courses since the olden days. Another from the province of Salerno told me that her family has had 13 courses for generations.)

During the Ellis Island years, a person came to America, had 9 children, each of them had 9 children, and so forth. That is how the traditions of one town might become famous throughout America, and then throughout the world.  (In the North End, the Little Italy of Boston, it is not difficult to walk down the street and meet someone whose family was from Montefalcione.  Montefalcione is an Avellinese town of only 3000 inhabitants!)

In English we use the word “feast,” which means pranzone or cenone.  It was later was mistranslated as festa – and to be clear, any use of the word festa for this meal is American in origin.  However, regardless of the name, I absolutely knew, when I started researching this tradition in 2017, that the meal was Italian in origin (not the name, but the meal). There was no possible way that it was “invented in the United States.”  The idea that some hypothetical American named John Smith “taught” the tradition to the immigrants in New York was too preposterous to consider.

However, then something else happened.  Think of the history of pizza.  Its popularity did not spread from Naples northward to Northern Italy.  It spread westward to Ellis Island, and then eastward to Northern Italy and the rest of the world.  The same happened with the Feast of the Fishes.  Most of the Neapolitans to whom I spoke who do an exact number of dishes have been doing so only for a few generations (unlike the Calabrese, who by contrast have been doing 13 dishes for centuries without interruption).

The problem, however, is the snobbery and ignorance that infect the discussion.  Because the huge majority of Italian-Americans are of Southern descent, Northern Italians often become insecure and defensive about their particular traditions.  They say, “I’m from Italy, and this feast doesn’t exist, and I asked all my friends, and they all agree with me.”  Their logic is, “They don’t do that in my town; therefore it is not Italian.”  Or, if they become really angry, they go one step further and say, “We don’t eat that – it’s AMERICAN.”  The ultimate culinary insult – worse than, “It’s not Italian,” worse than, “I wouldn’t even give it to the dog,” they say, “That dish is AMERICAN.”  

I really do understand the basis for the snobbery towards the Americans.  Before the advent of Marcella Hazan, “Italian” cuisine consisted of 5 or 10 dishes, repeated and repeated ad infinitum. One of these was spaghetti and meatballs.  And I do understand the irritation of the Italians when Americans visit Northern Italy, they enter a restaurant, and they are shocked that spaghetti and meatballs do not appear on the menu! Believe me that I feel the very same irritation. When people watch The Godfather and The Sopranos and listen to Frank Sinatra and Dean Martin, and then they say, “Gosh, I just love ITALIAN culture!”, my skin crawls.

But I condemn the snobbery of the Northern Italians who then make the utterly false statement that spaghetti and meatballs are “not Italian.” Obviously Italians do not put meatballs on top of spaghetti.  But you could not find a Neapolitan who does not make meatballs as a second course and use the exquisite sauce with spaghetti for the first course.  You couldn’t find a Neapolitan cookbook that didn’t contain a recipe for polpette.  And consider that the respected chef, Pellegrino Artusi, native of Emilia-Romagna but resident of FLORENCE, wrote the following, in La Scienza in Cucina e l’Arte di Mangiar Bene (1891):
Do not think that I have the pretension to teach you how to make meatballs. This is a dish that everyone knows how to make, even a donkey, who perhaps was the first one to give the idea to the human race.  What I’m trying to tell you is that they can be made with leftover cooked meat; if then you’d like to make them more simply or with raw meat, you don’t need that much seasoning. 
He proceeds to give a recipe consisting of chopped meat, bread soaked in milk, eggs, and seasonings, which is then formed into balls and fried.

Meatballs are one of many dishes in Italy in which the gravy from the meat dresses the pasta in the first course, and the meat itself is the second course. Another example – there are many in Italy – is Aglassato. Aglassato is hardly an American dish – in fact, it is unknown in the United States.

***

Other than fried cod, which was a must, what were some of the Calabrian specialties that figure among the 13 Christmas Eve courses?  

One commenter from Paola (province of Cosenza) wrote: 
The main course, spaghetti cu la muddica [spaghetti with toasted breadcrumbs and minced anchovies] ... Cod salad, salt cod stewed with broccoli, fried cod, raw fennel and parsnips, then the essential desserts including  cudduriaddi, grispeddi, turdiddri, cassateddi, and various sweets with egg dough and fig molasses, nuts and fresh fruits, and as much wine as you want.  The table is kept set and a something is left for the Baby Jesus, and the family all goes around the fireplace or at the brazier on the round wooden board [which encircled it].  
The chef from Cosenza, Francesco Algieri, on his website describes a very similar scene:
The main dishes that are prepared are: a first course, Spaghetti with anchovies and breadcrumbs, essentially seasoned with toasted breadcrumbs and anchovies (salted or packed in oil). As a second course, cod is prepared in every way: fried, with tomato sauce, with olives. In addition to these two dishes, a first course would be for instance with clams or with the sauce from the cod, while a second course would be mussels au gratin, octopus and potatoes, fritto di paranza [various smaller fishes, fried], and many other tasty local preparations. At the end of the meal, lupins, chestnuts, oranges, apples and traditional sweets are eaten: Turdilli, scalille, pitta mpigliata, chinulille. Once upon a time, families gathered around the hearth or around the large braziers and dined, not getting up from the table until late at night.
A commenter from Terranova da Sibari (from the same province of Cosenza), offers a very different menu:
Steamed mussels with black pepper, homemade filatielli (like scialatielli) with a fish-and-broccoli sauce, various fish fritters and vegetable fritters, fried shrimp, baked prawns, [frittura di] paranza [various smaller fishes, fried], clam sauté, calamari in umido, roasted cuttlefish, baked gilthead, raw fish [pâté] with fresh rosemary spread on crostini, then fresh fruit and nuts, sweets including homemade cannaricoli with fig honey, panettone, lentils at midnight.
You see, then, that even within the same province, different families have different menus.  The only thing in common is that none of the dishes contain meat. Therefore, one could interview people throughout Calabria, and there would be no end to the recipes and traditions!  

Imagine, then, if you interview people from elsewhere in Italy ... Here is a sampling of the wide range of variations that are found:

* Most people have the feast on December 24, but many have it on December 31 – to bring good luck throughout the coming year.

* Almost everyone said that the number 13 symbolizes the number of those eating at the Last Supper. For the number 7, most said that it signifies the number of sacraments. One person explained it in more kabbalistic terms: 3 (signifying the Holy Trinity) + 4 (signifying equilibrium). However, there is also a theory – more pertinent to Christmas – that Mary and Joseph’s journey from Nazareth to Bethlehem took seven days.

* Several people, including one from Acrireale (Catania, Sicily) and another from Tiriolo (Catanzaro, Calabria), have described a tradition in which, at the end of dinner, a small portion of all thirteen courses, plus a small piece of bread, are left for the angels who come during the Holy Night to visit.

* The majority of people who make 13 dishes said that most of the 13 were fish-based, but not all – some of the 13 were vegetable dishes and desserts.

* A very common dish in Sicily was fried cardoons in batter. Cardoons look like celery, but are something completely different. They are the plant of which the artichoke is the flower.  Perhaps this explanation is superfluous to you Italians.  In the US cardoons are virtually unknown. 

* Regarding eel ... It was known here in America because all the families made it, and also because it was so exotic, and so frightening, to us Americans that so many anecdotes resulted from it! (“Then to kill it, Grandma whacked its head on the table! BOOM! Then she sliced it, but the pieces were still moving!”) Alas, today it is not nearly as popular as it was in past generations. The anecdotes remain, but in another generation even they will disappear.

***

Fried cod in batter is not going to disappear any time soon.  I wanted to find a recipe with an air of authenticity. After researching and reading many recipes, I found this one at www.monrealenews.it (The following is my English translation.)

RECIPE FOR FRIED, BATTERED CODFISH

Ingredients

for four people:

700 grams of salt cod, soaked
150 grams of double-milled Sicilian durum wheat flour (semola rimacinata)
100 grams of flour 00
25 grams of active dry yeast
lukewarm water
oil
salt and pepper to taste  

Preparation

The preparation of the cod begins on the “morning of the feast” ...

Rinse the cod under the running water to get rid of the salt, then blanch it for a few seconds in unsalted boiling water. Place it on a kitchen towel or tablecloth, peel off the skin and the spine, and let it rest and dry for at least four hours.

As soon as it is completely cold, cut it into small pieces, put them aside, always on a dry cloth, and prepare the batter that will have to rise for at least a couple of hours.

Dissolve the yeast in a glass of lukewarm water. In a bowl sift the two types of flour, combine the dissolved yeast and a pinch of salt. Mix carefully with a wooden spoon or, better still, with your hands. (The mixer speed could, in fact, compromise the rising). Mix thoroughly to avoid lumps. The ideal consistency of the batter must be semifluid. If, however, it should be too dense, dilute with a few tablespoons of lukewarm water.

Cover the bowl with a towel and put the batter in a dark place. (An ideal place, for example, would be the oven, turned on but switched off after only a couple of minutes, in order to reach a warmish temperature). After two hours, look at the surface of the dough; if you see small bubbles on the surface, it means that the rising was optimal.

Take a large, deep pan (you can also use the electric fryer, but be careful to leave the lid open to prevent the steam condensing into the hot oil, lowering the temperature and compromising the crisp texture of the batter) and fill it abundantly with oil. Turn on the gas.

As soon as the oil has reached a high temperature, dip some chunks of cod into the batter and place them, a few pieces at a time, in the hot oil.

With a slotted spoon or skimmer, turn the pieces of cod and push them down, so that they brown evenly. The cod must literally “swim” in the oil. In this way, they absorb less oil, are more digestible and also take on a more delicate taste! As the cod become golden and crunchy, take them and let them dry on paper towels [or brown paper – L.C.] and continue until you have fried all the fish at your disposal.

Serve the pieces of fried cod on a previously heated serving dish, sprinkle with a pinch of salt and, if you like, freshly ground black pepper.

Finally, for a particularly crisp batter you can replace some of the water with a light beer or sparkling wine [VERY cold, almost frozen – L.C.].

(The above English translation is by Leonardo Ciampa.)


***
Wikipedia
Le mie interviste hanno rivelato un’altra incantevole tradizione della Vigilia di Natale. Diverse persone mi hanno raccontato che, dopo cena, vanno alla Messa a mezzanotte o alle 00:30, tornano a casa alle 1:30 o alle 2, e giocano a carte tutta la notte, fino all’ora di preparare il pranzo di Natale! Il gioco per lo più citato era Sette e Mezzo. 

***

Grazie a tutti per i vostri commenti informativi! Sono sempre desideroso di conoscere meglio le tradizioni culinarie (plurale) del Sud Italia. Se nella vostra città natale in Italia abbiate una cena della Vigilia di Natale con 13 o 7 portate (o un altro numero), raccontatecene nei Commenti!
   My interviews revealed another lovely Christmas Eve tradition.  Several people told me that, after dinner, they attend Mass at Midnight or 12:30, return home at 1:30 or 2, and play cards all night, until it is time to start preparing Christmas pranzo!  The game mostly often mentioned was Seven and a Half.

***

Thank you all for your informative comments! I am always eager to learn more about the culinary traditions (plural) of Southern Italy. If in your hometown in Italy you have a Christmas Eve dinner with 13 or 7 courses (or another number), please tell us about it in the Comments!
In senso orario da in alto a sinistra / Clockwise from top left:
cudduriaddi (cullurialli), grispeddi (crispeddi), turdiddi (turdilli), a.k.a. cannarìculi (cannarìcoli), pitta ’mpigliata, chinuliddi (chinulille), scaliddi (scalille), cassateddi (cassatelle)

Collage di foto da / Collage of photos from
blog.giallozafferano.com