Iride Pilla (1924) |
Iride Pilla & Leonardo Ciampa (1994) |
Cari amici, Sono pieno di nostalgia in questi giorni! Ci sono stati molti anniversari importanti negli ultimi due mesi. Non ultimo di questi è stato il 25° anniversario della prima volta che misi piede sul suolo di una nazione straniera. Quella nazione, ovviamente, era L’ITALIA! Una delle gioie della genitorialità è quando tuo figlio diventa abbastanza grande da farti domande serie. Ieri il mio primogenito Antonino (“Nino”), ora sedicenne, mi ha fatto delle domande che mi hanno fatto scoprire una coincidenza che, a 25 anni, non me ne rendevo conto! Solo ieri l’ho scoperta! Potrei dire tanto di quel primo viaggio in Italia! Sapevo che ci dovevo andare. Voglio dire, CI DOVEVO ANDARE. Ma dove? Con chi? Dove starei? Cosa farei? Non sapevo nemmeno in quale parte d’Italia andare. Il mio pensiero era: “Magari Firenze”. Le prime due dozzine di anni della mia vita furono sempre intrecciate, in un modo o nell’altro, con la Don Orione Nursing Home a East Boston, la casa di riposo fondata gestita dai padri orionini, i Figli della Divina Providenza. Negli anni ’80 lavorai con un sacerdote orionino di nome Don Antonio Simioni (1912-1996). Fu lui la ragione per cui scoprii la musica del suo idolo, Don Lorenzo Perosi (1872-1956). Fu anche la ragione per cui mi misi a imparare a parlare l’italiano. Dovevo per forza: lui non parlava inglese. I padri orionini trasferirono Padre Antonio da East Boston al bellissimo Santuario di Pompei. Stava lì nel 1995, quando seppe che io stavo venendo in Italia. Era felice che venissi, ma allarmato che non ne avessi un piano! Mi telefonò. “Conosco una famiglia ... Il loro figlio è un tenore. È una buona famiglia.” Grazie alla sua intercessione e all’incredibile generosità della famiglia Schettino, ora avevo un posto dove andare. Non era Firenze, ma era sempre Italia! Gli Schettino vivevono in un piccolo paese vicino a Pompei, chiamato Sant’Antonio Abate. Quando arrivai all’aeroporto di Napoli il 6 agosto 1995, il primissimo volto familiare che vidi fu quello di Padre Antonio! Ricordo ancora il pranzo quel giorno – il mio primissimo pasto in Italia! Primo piatto: orecchiette in salsa di pomodori e patate a cubetti. Secondo piatto: bistecca con patate fritte. La cara signora Amalia, che non era mai stata in America, pensava che da americano io avrei voluto mangiare carne e patate. Imparò subitissimamente che io volevo essere più italiano degli italiani! Da cuoca napoletana, Amalia aveva pochi eguali e nessuna rivale. Era la classica cucina napoletana: pochi ingredienti, preparazioni semplici, esplosioni di sapore. Era molto umile riguardo alle sue capacità in cucina. Una volta, quando le disse che era un'ottima cuoca, rispose: “Oh no no no, conosco solo alcune ricette”. Tuttavia la sua maestria era nota a tutti. Un giorno in spiaggia, dissi scherzosamente: “Un dì voglio sposare una donna che fa soldi come Pascà ma cucina come Amalia!” Qualcuna rispose: “Potresti incontrare qualcuna che fa soldi come Pasquale. Ma non incontrerai mai nessuna che cucina come Amalia”. Prima colazione era pane duro immerso nell’acqua. Forse non sembra una colazione deliziosa, ma lo era! I grossi pezzi di pane multicereali erano conservati in un grande contenitore di latta. Ognuno aveva un piattino per il pane e una piccola ciotola d’acqua per immergere il pane duro. Era questo che mangiavo ogni mattina, con una variante che non dimenticherò mai. Nei giorni che precedevano la refrigerazione, i contadini conservavano il cibo sott’olio o sott’aceto. Ancora oggi, gli italiani del sud hanno meravigliosi barattoli sotto il lavandino, pieni di cose tipo melanzane sott’olio, peperoni sott’aceto, funghi sott’olio e così via. Un giorno, i carciofini sott’olio erano finiti. Nel barattolo restava solo l’olio, con i sapori dei carciofini e l’aglio e le spezie. Ero seduto a tavola con il mio pane duro. Senza dire una parola (ormai mi conosceva), prese il barattolo, si avvicinò a me e versò quest’olio dorato del Cielo sul mio pane. Fino ad oggi, questo rimane uno dei momenti gastronomici insuperabili della mia vita! Da bere a colazione, prendevamo latte macchiato. Mentre il latte veniva scaldato sul fornello, Amalia andava al frigorifero e ne tirava fuori una piccola fiala di vetro piena di caffè zuccherato del giorno prima. Con questo “macchiava” il latte caldo nella pentolina (da qui il termine “latte macchiato”). Pranzo era alle 13:00 o alle 14:00. Tutti si sedevano a tavola. Se mancava qualcuno, aspettavamo. Anche dopo che tutti si erano seduti, nessuno toccava il cibo. Nessuno si muoveva finché il dottor Pasquale non disse: “Buon appetito!” A queste due parole, tutti improvvisamente si tuffarono nel loro cibo. Ricordo ancora quella quotidianità! Amalia seguiva strettamente il tradizionale ordine italiano delle portate: pasta o riso; carne o pesce; contorni serviti su piatti separati (di cui almeno uno della verdura a foglia verde); la portata di formaggio; frutta. Amalia non serviva il caffè a pranzo. Quando il pranzo era finito, tutti facevano il riposo. Dormivamo fino alle 16:00 o alle 17:00. Da questo pisolino mi svegliavano non una sveglia, ma il suono e l’odore del caffè che Amalia stava preparando! Il Bialetti stava sui fornelli. Nel frattempo, lei aveva una brocca di metallo, con una quantità di zucchero misurata con molta attenzione. Quando uscivano le prime gocce di caffè, le versava nella brocca. Con un cucchiaio di metallo mescolava con vigore lo zucchero e le gocce di caffè per fare una pasta. Il suono di metallo contro metallo era la mia “sveglia”. (Le case italiane non sono tappezzate, quindi il suono viaggiava facilmente su per le scale fino alla mia camera da letto.) Quando il resto del caffè era pronto, lei lo versava in questa pasta. Tutti bevevano ’na tazzulell’ ’e caffè, e il caffè avanzato andava nella fiala di vetro, per il latte del mattino successivo! La cena veniva servita alle 21:00 o alle 22:00. Il primo piatto era gli avanzi del pranzo o, se non ci fossero abbastanza avanzi, Amalia preparerebbe qualcosa di nuovo (qualcosa semplice, come una frittata). Il secondo piatto era gli affettati con pane. I seguenti due aneddoti vi dicono tutto quello che dovete sapere sul carattere di Amalia. Un giorno, a Sant’Antonio Abate, entrai in un negozio di via Roma. Le comprai alcuni bibelot (se ricordo bene, un paio di statuette di angeli in ceramica). Quando glieli presentai, lei disse: “Oh, no no no no! Non dovresti comprarmi niente! Dovresti solo volermi bene!” (Disse esattamente così.) In un batter d’occhio, smise a fare quel che faceva e uscì dalla porta. (Non avevo idea di dove stesse andando). Mezz’ora o un’ora dopo, tornò e mi regalò il mio primo Bialetti e un mattone di caffè macinato! Gran parte di questo viaggio si trascorreva presso la residenza estiva degli Schettino nel Parco delle Acacie, a Santa Maria di Castellabate. Un giorno entrai in una gelateria dall’altra parte della strada rispetto all’ingresso del Parco, in Corso Beato Simeone. Entrai, indicai il gelato alla pesca e dissi: “Una coppetta di gelato, per favore”. La ragazza rispose: “Un chilo?” Allora ... lampante, chiaro come il sole, ricordo quel momento. Il mio accento americano era più forte allora che adesso. Tuttavia, non è possibile che quella ragazza scambiasse “coppetta” per “chilo”. Anche il mio io giovane e ingenuo si rese conto che lei stava facendo “quella cosa che gli italiani fanno ai turisti americani”. Eppure in quel momento mi bloccai. Perché? Chissà, ma quando lei disse “Un chilo?” risposi timidamente e incredibilmente “Sì”. 13.000 lire! Sarebbero più di 8 euro, 25 anni fa! Rientrato a casa, tutti gli uomini risero di me e si divertirono a farlo. Ma quella cara signora, carissima Amalia, lei ebbe pietà di me e senza dire una parola mi diede 13.000 lire. Prima di trasferirsi a Sant’Antonio Abate (da dove proveniva Pasquale), la famiglia abitava a Castellammare di Stabia. (Non sapevo questo, fino a molti anni dopo.) Fu lì che nacque loro figlio, il mio amico Raffaele (“Lello”). Castellammare di Stabia è una città storicissima e bellissima, il cui panorama marino offre una classica vista del Monte Vesuvio. Ricordavo Castellammare come il “paese accanto” da Sant’Antonio Abate. Tuttavia, mentre guardo una mappa oggi, mi rendo conto che se debba attraversare un pezzetto di Gragnano per arrivarci. Il nome Gragnano potrebbe suonarvi familiare: è la capitale della produzione pastificia nel mondo! Gragnano sta alla pasta come il San Marzano sta ai pomodori. (Solo decenni dopo ho capito di essere stato così vicino a Gragnano, senza mai visitarlo. Non sapevo dove si trovava.) Saltate avanti di 25 anni alla mia conversazione ieri con mio figlio Nino e alla mia “scoperta”. Lui mi domandava delle varie scuole di musica a Boston. Quando ha domandato del Conservatorio di Boston, è stato sorpreso di sapere che una volta suo padre era un membro della loro facoltà. Nel 1994-1995 ebbi l’onore di essere il pianista-accompagnatore e l’esercitore della rinomata soprano e maestro di canto, la dottoressa Iride Pilla (1904-1997). All’epoca aveva 90 anni! Stranamente, non avevo mai parlato a Nino di lei o del mio anno con lei. Nata a Lynn, Massachusetts, nel 1904, crebbe trilingue. Anche a 90 anni parlava inglese, italiano e napoletano con la stessa padronanza. Per il canto e per le lingue, la sua mente era straordinaria! Parliamo di una donna che aveva 17 anni quando Caruso morì ... donna il cui mentore Agide Jacchia era una delle amiche più intime di Mascagni ... donna che cantò in importanti produzioni operistiche a Parma, Piacenza e Reggio nell’Emilia ... che eseguì Andrea Chénier nella presenza del compositore ... che cantò Cavalleria Rusticana con la compagnia lirica di Salmaggi a New York più di 100 volte ... Ma perché continuare? Ancora più importante, era una donna intelligente, gentile e divertente che, nonostante la sua età e il suo confino su una sedia a rotelle, mi voleva bene e mi insegnava di una cultura che è svanita da tempo dal pianeta. Dopo quell’anno con Miss Pilla, ero così appassionato dell’Italia e di tutto ciò che è italiano, ero in fiamme. Avevo problemi a pensare ad altro. Fu allora che spezzai il suo cuore novantenne. Le diedi la notizia che sarei andato in Italia. Ma lei capì. Io ci dovevo andare. Voglio dire, io CI DOVEVO ANDARE. Dunque sto raccontando tutto questo a mio figlio ieri. E poi mi sono pensato: “Aspetta: da dove veniva la famiglia di Miss Pilla? So che lei ed io ne parlavamo.” Ho dovuto cercare nelle mie banche di memoria - era qualcosa a cui non pensavo da tempo. Dopo un minuto o così, mi sono ricordato improvvisamente: Castellammare di Stabia. Quindi, la donna ispiritrice, la donna che accese in me la fiamma per andare in Italia, l’idea folle che inziò con “Magari Firenze” e finì a Sant’Antonio Abate nella casa di una famiglia castellammarese … la famiglia di quest’ispiritrice era di Castellammare. Non l’avevo collegato fino a ieri. Oggi stavo pensando di più a queste cose. E ho fatto ancora un’altra scoperta. Ho capito che il primissimo organo che abbia mai suonato in Italia era a Castellammare. Letteralmente non me ne sono reso conto fino ad OGGI. Nell’agosto o settembre 1995, partecipammo a una messa in onore del 25° anniversario di matrimonio di uno dei fratelli di Amalia. La messa si celebrò presso la Basilica nella località di Castellammare detta Pozzano. Lello cantò per la messa (“Fratello sole sorella luna” e un paio di altri brani). Io non lo accompagnai, ma prima della messa, prima che arrivasse la gente, suonai alcune note sull’organo. I primissimi tasti d’organo che io abbia mai toccato in Italia. Per molti anni pensavo che questa chiesa fosse in un paese chiamato Lèttere (luogo del ricevimento dopo la messa). Solo negli ultimi anni ho saputo che questa chiesa era a Castellammare. E Pozzano aveva perfettamente senso: ricordo ancora la storia che mi raccontò Pasquale quel giorno, sul famoso dipinto della Madonna nascosto nel pozzo. Carissima Miss Pilla: La tua mente novantenne era così veloce. E la mia mente ventiquattrenne era così lenta, perché mi ci è voluto un quarto di secolo per capire questi collegamenti castellammaresi! Che possano queste parole di gratitudine e d’affetto raggiungerti in Paradiso. E che tu non possa mai essere dimenticata. Dal tuo devoto Post scriptum Volevo controllare l’autobiografia di Iride Pilla, per essere sicuro che il mio ricordo su Castellammare di Stabia fosse corretto. Lo era: sua madre, Assunta Greco, era infatti di Castellammare di Stabia. La questione allora era: da dove veniva suo padre, Desiderio Pilla? Miss Pilla parlava molto più spesso di sua madre e dei Greco che di suo padre. Con alcune ricerche su internet, ho appreso che Desiderio nacque il 28 dicembre 1879 a Mirabello Sannitico, in provincia di Campobasso. Del padre Miss Pilla mi raccontava spesso una storia che non apparì nell’autobiografia. La storia andava che in precedenza Desiderio era stato sposato con una donna il cui nome era Iride. Lei morì di parto. Desiderio ne rimaneva così sconvolto che quando la sua seconda moglie Assunta diede alla luce una bambina, le chiese di chiamarla Iride. Una ricerca su Internet conferma la storia: Desiderio sposò una donna di 19 anni di nome Iride Parella a Manhattan il 22 settembre 1900. Loro figliuolo, Edgardo, morì in tenera età. | Dear friends,
I am filled with nostalgia these days! There were many important anniversaries over the past couple of months. Not the least of these was the 25th anniversary of the first time that I set foot on the soil of a foreign country. That country, of course, was ITALY! One of the joys of parenthood is when your son grows old enough to ask you serious questions. Yesterday, my firstborn Antonino (“Nino”), now 16 years old, asked me questions that caused me to discover a coincidence that, in 25 years, I did not realize! Only yesterday did I discover it! I could say so much about that first trip to Italy! I knew I had to go there. I mean, I HAD TO GO THERE. But where? With whom? Where would I stay? What would I do? I didn’t even know what part of Italy to go to. My thought was, “Maybe Florence.” The first two dozen years of my life were always interwoven, in one way or another, with the Don Orione Home in East Boston, a nursing home founded and operated by the Don Orione fathers, the “Sons of Divine Providence.” In the 1980s I worked with a Don Orione priest named Don Antonio Simioni (1912-1996). He was the reason that I discovered the music of his idol, Don Lorenzo Perosi (1872-1956). He was also the reason that I learned to speak Italian. I had to – he did not speak English. The Don Orione fathers moved Padre Antonio from East Boston to the beautiful Santuario in Pompei. That was where he was in 1995, when he learned I was coming to Italy. He was delighted I was coming, but alarmed that I had no plan! He called me on the phone. “I know a family … Their son is a tenor. They are a good family.” Thanks to his intercession, and to the incredible generosity of the Schettino family, I now had a place to go. It wasn’t Florence, but it was still Italy! The Schettinos lived in a small town near Pompeii, called Sant’Antonio Abate. When I arrived at the Naples Airport on August 6, 1995, the very first familiar face that I saw was that of Padre Antonio! I still remember the lunch that day – my very first meal in Italy! First course: orecchiette in a sauce of tomatoes and potatoes in little cubes. Second course: steak with French fried potatoes. Dear Signora Amalia, who had never been to America, thought that as an American I would want to eat meat and potatoes. She learned very quickly that I wanted to be more Italian than the Italians! As a Neapolitan cook, Amalia had few equals and no rivals. It was the classic Neapolitan cuisine: few ingredients, simple preparations, explosions of flavor. She was very humble about her abilities in the kitchen. Once when I told her she was a great cook, she said, “Oh no no no, I just know a few recipes.” However her mastery was known to all. One day at the beach, I said kiddingly, “Someday I want to marry a woman who makes money like Pasquale but cooks like Amalia!” Someone replied, “You might meet someone who makes money like Pasquale. But you’ll never meet anyone who cooks like Amalia.” Breakfast or “prima colazione” was hard bread dipped in water. It doesn’t sound like a delicious breakfast, but it was! The large chunks of multigrain bread were stored in a large tin container. Everyone got a small flat plate for the bread and a small bowl of water to dip the hard bread in. This was what I ate every morning, with one variant that I shall never forget. In the days before refrigeration, farmers preserved food in oil or vinegar. Even today, southern Italians have wonderful jars under their sink, containing things like eggplant in oil, peppers in vinegar, mushrooms in oil, and so forth. One day, the artichoke hearts had run out. All that remained in the jar was the oil, with the flavors of the artichokes and garlic and spices. I was sitting at the table with my hard bread. Without saying a word (by now she knew me), she took the jar, came over to me, and drizzled this golden oil from Heaven over my bread. To this day, this remains one of the unsurpassed gastronomic moments of my life! To drink at breakfast, we had “latte macchiato.” While the milk was being warmed on the stove, Amalia went to the refrigerator and took out a small glass vial filled with day-old espresso and sugar. With this she “marked” the warm milk in the pan (thus the term “latte macchiato”). The main meal, “pranzo” was at 1 or 2 p.m. Everyone sat at the table. If someone was missing, we waited. Even after everyone was seated, no one touched the food. No one moved until Doctor Pasquale said, “Buon appetito!” Upon those two words, everyone suddenly dived into their food. I still remember this daily occurrence! Amalia followed the strict order of the courses: pasta or rice; meat or fish; side dishes served on separate plates (at least one of which being green, leafy vegetables); the cheese course; dessert and fruit. Amalia didn’t serve espresso at pranzo. When pranzo was over, everyone would have a “riposo” or siesta. We would sleep till 4 or 5 p.m. From this nap I was awoken not by an alarm clock, but by the sound and smell of Amalia making the espresso! The Bialetti would be going on the stove. Meanwhile, she had a metal pitcher, with a very carefully measured amount of sugar. When the first drops of the coffee would come up, she would pour them into the pitcher. With a metal spoon she vigorously mixed the sugar and drops of coffee to make a paste. The sound of the metal against metal was my “alarm clock.” (Italian homes aren’t carpeted, so the sound easily traveled up the stairway to my bedroom.) When the rest of the espresso was ready, she would pour it into this paste. Everyone would drink a shot of espresso, and the leftovers would go into the glass vial, for the next morning’s latte! Dinner, or “cena,” was served at 9 or 10 p.m. The first course was leftovers from the pranzo or, if there were not enough leftovers, Amalia would make something new (something simple, like a frittata). The second course was cold cuts and bread. The following two anecdotes tell you all you need to know about Amalia’s character. One day, in Sant’Antonio Abate, I walked into a shop on Via Roma. I bought her a few bibelots (if I recall correctly, a couple of ceramic statuettes of angels). When I presented them to her, she said, “Oh, no no no no! You’re not supposed to buy me anything! You’re just supposed to love me!” (That’s exactly what she said.) On a dime, she stopped what she was doing and walked out the door. (I had no idea where she was going). A half-hour or hour later, she returned and gave me my first Bialetti and a brick of ground espresso! Much of this trip was spent at the Schettinos’ summer home in the Parco delle Acacie, in Santa Maria di Castellabate. One day I walked to a gelateria across the street from the entrance of the Parco, on Corso Beato Simeone. I walked in, pointed to the peach gelato, and said, “Una coppetta di gelato, per favore.” The girl replied, “Un chilo?” Now, as clear as the sunshine I remember that moment. My American accent was stronger then than now. However, there is no way that girl mistook “coppetta” for “chilo.” Even my young, naïve self realized that she was doing “that thing that Italians do to American tourists.” Yet I froze at that moment. Why? Who knows, but when she said, “Un chilo?” I replied timidly, and incredibly, “Sì.” 13,000 lire! That would be more than 8 Euros, 25 years ago! When I returned home, the men all laughed at me, and enjoyed doing so. However, that dear woman, dearest Amalia, took pity upon me and without saying a word gave me 13,000 lire. Before moving to Sant’Antonio Abate (where Pasquale was from), the family lived in Castellammare di Stabia. (I did not know this until many years later.) It was there that their son, my friend Raffaele (“Lello”) was born. Castellammare di Stabia is a historic and beautiful town, whose seascape offers a classic view of Mt. Vesuvius. I remembered Castellammare as being “the next town over” from Sant’Antonio Abate. However, as I look at a map today, I realize that you have to drive through a little piece of Gragnano to get there. The name Gragnano may sound familiar to you: it is the capital of pasta production in the world! Gragnano is to pasta what San Marzano is to tomatoes. (Only decades later I realized that I had been so close to Gragnano, without ever visiting it. I didn’t know where it was.) Skip forward 25 years to my conversation yesterday with my son Nino and my “discovery.” He was asking me about the various music schools in Boston. When he asked about the Boston Conservatory, he was surprised to learn that his father was once a member of their faculty. In 1994-1995, I had the honor of being the piano accompanist and teaching assistant of the renowned soprano and teacher, Dr. Iride Pilla (1904-1997). She was 90 years old at the time! Oddly enough, I had never told my son about her, or about my year with her. Born in Lynn, Massachusetts, in 1904, she grew up trilingual. Even at age 90, she spoke English, Italian, and Neapolitan with equal fluency. For singing and for languages, her mind was extraordinary! We’re talking about a woman who was 17 when Caruso died … a woman whose mentor Agide Jacchia was one of Mascagni’s closest friends … a woman who sang in important opera productions in Parma, Piacenza, and Reggio nell’Emilia … who performed Andrea Chénier in the presence of the composer …who sang Cavalleria Rusticana with Salmaggi’s opera company in New York more than 100 times … But why go on? More important than that, she was a smart and kind and funny woman who, despite her age and her confinement to a wheelchair, doted over me and taught me about a culture that has long since vanished from the planet. After that year with Miss Pilla, I was so impassioned about Italy and everything Italian, I was on fire. I had trouble thinking about anything else. It was then that I broke Miss Pilla’s nonagenarian heart. I broke the news that I was going to Italy. But she understood. I had to go there. I mean, I HAD TO GO THERE. So I’m telling my son all of this yesterday. And then I got to thinking, “Wait a minute, where was Miss Pilla’s family from? She and I used to talk about it.” I had to search my memory banks – this was something I hadn’t thought about in a while. After a minute or so I suddenly remembered: Castellammare di Stabia. Thus, this inspiring woman, this woman who fanned the flame in me to go to Italy, a crazy idea that started with “Maybe Florence” and ended in Sant’Antonio Abate, in the home of a family from Castellammare … this inspirer’s family was from Castellammare. I did not make that connection until yesterday. Today I was thinking more about these things. And I made another discovery. I realized that the very first organ that I ever played in Italy was in Castellammare. I literally did not realize this until TODAY. In August or September 1995, we were attending a Mass in honor of the 25th wedding anniversary of one of Amalia's siblings. The Mass was celebrated at the Basilica in the area of Castellammare called Pozzano. Lello sang for the Mass (“Fratello sole sorella luna” and a couple of other pieces). I did not accompany him, but before the Mass, before the people came, I played a few notes on the organ. The very first organ keys that I ever touched in Italy. For many years, I thought this church was in a town called Lèttere (location of the reception after the Mass). Only in recent years, I learned that this church was in Castellammare. And Pozzano made perfect sense – I still remember the story Pasquale told me that day, about the famous painting of the Madonna hidden in the well. (The Italian word for well is “pozzo.”) Dearest Miss Pilla: Your 90-year-old mind was so quick. And my 24-year-old mind was so slow, because it took me a quarter century to figure these Castellammare connections! May these words of gratitude and affection reach you in Heaven. And may you never be forgotten. From your devoted, Leonardo. August 27, 2020 Postscript I wanted to check Miss Pilla’s autobiography, to make sure that my memory about Castellammare di Stabia was correct. It was: indeed, Miss Pilla’s mother, Assunta Greco, was from Castellammare di Stabia. The question then was: where was her father, Desiderio Pilla, from? Miss Pilla spoke much more often of her mother and of the Grecos than she did about her father. With some internet research, I learned that Desiderio was born on December 28, 1879 in Mirabello Sannitico, in the province of Campobasso. Miss Pilla often told me a story about her father that did not make it into the autobiography. The story went that he was previously married to a woman whose first name was Iride. She died in childbirth. Desiderio was so distraught that when his second wife Assunta gave birth to a girl, he asked her to name her Iride. An internet search confirms the story: Desiderio did indeed marry a 19-year-old woman named Iride Parella in Manhattan on September 22, 1900. Their child, Edgardo, died in infancy. |
Castellammare di Stabia (Wikipedia) |
L’organo Rotelli (1907) della Basilica di Pozzano (Castellammare di Stabia) (Wikipedia) |
AMALIA SORRENTINO (1 aprile 1939 – 6 febbraio 2018) |
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