venerdì 28 dicembre 2018

La storia elusiva degli Spaghetti alla Caruso / The elusive story of Spaghetti alla Caruso

Una delle ultime foto di Enrico Caruso, sul balcone del Grand Hotel Excelsior Vittoria di Sorrento (1921)
One of the last photos of Enrico Caruso, on the balcony of the Grand Hotel Excelsior Vittoria in Sorrento (1921)
Foto: Wikipedia
La storia elusiva degli Spaghetti alla Caruso
di Leonardo Ciampa

Per molti anni mi domandavo della ricetta che ha preso il nome del più grande tenore della storia, Enrico Caruso (1873-1921). Conoscevo due ricette distinte, entrambe di nome “Spaghetti (oppure Bucatini) alla Caruso.” Qual’era la ricetta “autentica,” quella con i fegatini di pollo, o quella con i medaglioni di zucchine? Si tratta di una ricetta che un chef abbia dedicato al tenore, o che il tenore stesso preparasse?

Non è stata un’indagine facile! Dopo tanta ricerca, rimangono più domande che risposte. Ma ho scoperto delle cose interessantissime!
  
The elusive story of Spaghetti alla Caruso
by Leonardo Ciampa

For many years I wondered about the recipe that took its name from history’s greatest, Enrico Caruso (1873-1921). I knew two distinct recipes, both named "Spaghetti (or Bucatini) alla Caruso." Which was the "authentic" recipe, the one with chicken livers, or the one with zucchini medallions? And is it a recipe that a chef dedicated to the tenor, or that the tenor himself made?

It was not an easy investigation! After much research, more questions than answers remain. But I discovered some very interesting things!
L’influenza carusiana sulla cultura italoamerica

La cosa più sorprendente che ho scoperto, confermata da alcune fonti, è stata l’aiuto che Caruso diede ai cuochi e pizzaioli napoletani cercando di stabilirsi a New York. Ho letto questo per la prima volta sul sito web del Grand Hotel Vesuvio a Napoli. Ero incredulo. Sicuramente quest’era solo la propaganda inventata dalla pubblicitaria dell’hotel per il sito web. Ma poi ho letto un articolo di Claudio Novelli, intitolato “La salsa Caruso,” pubblicato nel febbraio 2016 in Civiltà della Tavola, la rivista dell’Accademia Italiana della Cucina. Novelli dice “che avesse brigato per far ottenere la cittadinanza a una quindicina di cuochi napoletani e che li avesse anche finanziariamente sostenuti nell’aprire ristoranti e pizzerie, in modo tale da assicurarsi un familiare supporto logistico anche oltreoceano.”

Potrebbe anche darsi che Caruso abbia svolto un ruolo nella divulgazione degli spaghetti in America? Giuseppe Prezzolini credeva di sì. Nato a Perugia, Prezzolini fu professore alla Columbia University e capo della loro Casa Italiana. Fu critico letterario, editore di riviste e autore di 57 libri sia in italiano che in inglese. Morì nel 1982 all’età di 100 anni. Nel suo libro del 1955, Spaghetti Dinner, Prezzolini dichiarò, “Chi contribuì più di tutti per fare gli spaghetti un alimento base della casa fu Enrico Caruso.”
   Caruso’s influence on Italian-American culture

The most surprising thing I discovered, confirmed by several sources, was the help that Caruso gave to Neapolitan cooks and pizza makers trying to settle in New York. I first read this on the website of the Grand Hotel Vesuvio in Naples. I was incredulous. Surely this was just propaganda invented by the hotel's publicist for the website. But then I read an article by Claudio Novelli, entitled "La salsa Caruso," published in February 2016 in Civiltà della Tavola, the magazine of the Accademia Italiana della Cucina. Novelli says "that he had schemed to get citizenship for about fifteen Neapolitan chefs and that he had also financially supported them in opening restaurants and pizzerias, so as to ensure a familiar logistical support system even overseas."

Could it also be that Caruso played a role in popularizing spaghetti in America? Giuseppe Prezzolini thought so. Born in Perugia, Prezzolini was a professor at Columbia and head of their Casa Italiana. He was a literary critic, magazine editor, and author of 57 books both in Italian and English. He died in 1982 at age 100. In his 1955 book, Spaghetti Dinner, Prezzolini declared, "[The one] who did more than all the others to make spaghetti a household staple was Enrico Caruso."
La catena “Caruso’s Spaghetti House”

Nel 1940, Angelo Flavio Guidi scrisse in Relazioni culturali fra Italia e Stati Uniti d’America, “Ora, in omaggio anche alla sua virtù culinaria, le ‘Caruso Spaghetti House’ o Trattorie dove si mangiano gli spaghetti alla Caruso [corsivo di Guidi] si trovano ad ogni passo.” Infatti, una ricerca su Google rivela che, effettivamente, negli anni 1920 e 1930, c’erano ristoranti di nome “Caruso’s Spaghetti House” sparsi per tutto il paese.

Questo mi fa domandare se gli “Spaghetti alla Caruso” abbia preso il nome dal tenore o dalla catena? La prima apparizione degli “Spaghetti alla Caruso” che ho potuto trovare si trova in Where to Dine in Thirty-Nine (“Dove cenare nel Trentanove”) di Diana Ashley, sottotitolata, “Una guida ai ristoranti di New York, a cui è stato aggiunto un libro di ricette di famosi chef.” A pagina 27 vediamo “Ricetta dello chef: salsa Caruso per gli spaghetti, Antonia Riconda, Chef de cuisine.” Antonia Riconda era un cuoco che lavorò – avete indovinato! – a una delle Caruso’s Spaghetti House. La ricetta include infatti i fegatini. Gli ingredienti di questa ricetta curiosa sono una cipolla media, 1/4 libbra [113 gr] di burro, 1 quarto [946 ml] di purea di pomodoro, 1 libbra [454 gr] di funghi freschi, 1 libbra [454 gr] di fegato di pollo, 3 pimenti interi, 2 foglie di alloro, sale e pepe.

La prossima menzione degli Spaghetti alla Caruso che ero in grado di trovare fu pubblicata cinque anni dopo, nel 1944. Iles Brody era un ex-ufficiale di cavalleria ungherese che divenne un critico di ristoranti e un cronista dell’élite sociale per la rivista Gourmet. Nel suo libro, On the Tip of My Tongue, scrive:
Gli spaghetti con il sugo di carne o con le polpette possono essere deliziosi. Così anche gli spaghetti alla Caruso, titolo che designa l’aggiunta dei fegatini di pollo e dei funghi che, a proposito, a Caruso non sono mai piaciuti. Lui mangiava gli spaghetti semplice, solo con burro e formaggio, ed era dedito ai grandi tagli di carne, come il barone d’agnello.
Non tutto nel conto di Brody mi sembra credibile. Gli spaghetti con burro e formaggio sarebbero stati un piatto estremamente raro, sia a Napoli che a New York. E la sua presunta avversione per i funghi mi sembra un pettegolezzo (anche se io l’abbia letto in più di una fonte).
   The "Caruso’s Spaghetti House" chain

In 1940, Angelo Flavio Guidi wrote in Relazioni culturali fra Italia e Stati Uniti d'America, "Now, as a tribute to its culinary virtue, 'Caruso Spaghetti Houses'or, trattorias where you can eat spaghetti alla Caruso [italics by Guidi], can be found on every corner." In fact, a Google search reveals that, indeed, in the 1920s and 1930s, there were restaurants called "Caruso’s Spaghetti House" scattered throughout the country.

This causes me to wonder if "Spaghetti alla Caruso" was named after the tenor, or named after the chain? The earliest appearance of "Spaghetti alla Caruso" that I was able to find was in Diana Ashley's Where to Dine in Thirty-Nine, subtitled, "A guide to New York restaurants, to which there is added a cook book of recipes by famous chefs." On page 27 we see "Chef's Recipe: Caruso sauce for Spaghetti. Antonia Riconda, Chef de cuisine." Antonia Riconda was a chef who worked – you guessed it! – at one of the Caruso's Spaghetti Houses. The recipe does indeed include chicken livers. The ingredients of this curious recipe are one medium sized onion, 1/4 lb. butter, 1 qt. tomato purée, 1 lb. fresh mushrooms, 1 lb. chicken livers, 3 whole pimentos, 2 bayleaves, salt and pepper.

The next mention of Spaghetti Caruso that I was able to find was published five years later, in 1944. Iles Brody was an ex-Hungarian cavalry officer who became a restaurant critic and chronicler of the social elite for Gourmet magazine. In his book, On the Tip of My Tongue, he writes,
Spaghetti with meat sauce, or with meatballs, can be delicious. So can spaghetti Caruso, designating the addition of chicken livers and mushrooms which, by the way, Caruso never liked. He ate his spaghetti plain, with butter and cheese only, and was addicted to large cuts of meats, such as baron of lamb.
Not everything in Brody’s account seems credible. Spaghetti with butter and cheese would have been an extremely rare dish, both in Naples and in New York. And his supposed aversion to mushrooms seems like mere gossip (though I have read it in more than one source).
Pastafilia

Nel suo libro del 1948, Enrico Caruso – His Life and Death, la sua vedova Dorothy ci dice:
Non mangiava troppo. Non mangiava mai cinque piatti di spaghetti per pranzo! Il suo pranzo era zuppa di verdure con della carne di pollo lasciata dentro e un’insalata verde. Per la cena di solito aveva una bistecca sottile, due verdure e del gelato.
Siccome è possible che mangiasse così negli ultimi tre anni della vita, il tentativo di Dorothy di minimizzare la pastafilia di suo marito era inutile. I racconti al contrario abbondano. Come il seguente, che apparse in Opera & Concert, vol. 13 (luglio 1948):
L’appetito del tenore era enorme e mangiava con un gusto che divertiva i suoi amici. Non di rado piegava i rebbi di una forchetta verso l’esterno in modo che potesse contenere una più grande porzione di spaghetti, cibo che preferiva sopra tutti gli altri. In questo momento, nemmeno l’atmosfera tranquilla dei ristoranti di Londra o l’eleganza del suo ristorante preferito a Parigi, Ciro, lo dissuadeva da questa pratica.
Avrei completamente respinto questo racconto come puro apocrifo. Comunque, nel 2015 è apparso l’affascinante libro And the champagne still flows: The biography of Madame Marie Rappold, Diva of the Metropolitan Opera di Joseph Roger Winterrath e Alice Pianfetti. Winterrath è il pronipote di Rappold, che spesso invitava Caruso a cena o al tè. Rappold aveva una di queste forchette con i denti piegati. Winterrath ora possiede questo utensile storico.
   Pastaphilia 

In her 1948 book Enrico Caruso – His Life and Death, his widow Dorothy tells us,
He did not overeat. He never ate five plates of spaghetti for lunch! His lunch was vegetable soup with the meat of chicken left in, and a green salad. For dinner he usually had a minute steak, two green vegetables and ice cream.
While it's possible that this is how he ate during the last three years of his life, Dorothy’s attempt to downplay her husband’s pastaphilia was futile. Stories to the contrary abound. Such as the following, which appeared in Opera & Concert, Vol. 13 (July, 1948):
The tenor's appetite was enormous and he ate with a relish that amused his friends. He not infrequently bent the prongs of a fork outward so that it would hold a bigger serving of spaghetti which he preferred above all other foods. At this time, not even the sedate atmosphere of London's restaurants or the elegance of his favorite Paris eating establishment, Ciro's, deterred him from this practice.
I would have rejected this story outright as pure apocrypha. However, in 2015 appeared the fascinating book And the Champagne Still Flows: The Biography of Madame Marie Rappold, Diva of the Metropolitan Opera by Joseph Roger Winterrath and Alice Pianfetti. Winterrath is the grand-nephew of Rappold, who often had Caruso over for dinner or tea. Rappold had one of these forks with the bent tines. Winterrath now possesses this historic utensil.
Prima apparizione della versione con le zucchine

Louis P. De Gouy (1869-1947) nacque in Francia. Studiò con suo padre (che era il cuoco dell’imperatore Francesco Giuseppe I d’Austria) e con Escoffier. Dopo aver lavorato in numerose prestigiose istituzioni culinarie sia in Europa che in America, diventò chef del Waldorf-Astoria Hotel, una posizione che ha ricoperto per 30 anni. Lui affermò di aver inventato la ricetta per gli “Spaghetti alla Caruso.” Nell’anno della sua morte, 1947, pubblicò The Gold Cook Book, una raccolta dei suoi articoli dalla rivista Gourmet. Come previsto, c’è una ricetta per gli “Spaghetti alla Caruso,” ma senza i fegatini di pollo. Tra parentesi lui dichiarò, “Ricetta originale come preparata da questo scrittore.”
   First appearance of the zucchini version

Louis P. De Gouy (1869-1947) was born in France. He studied with his father (who was the chef of Emperor Franz Joseph I of Austria) and with Escoffier. After working at numerous prestigious culinary establishments both in Europe and in America, he became chef at the Waldorf-Astoria Hotel, a position he held for 30 years. He claimed to have invented the recipe for "Spaghetti alla Caruso." The year of his death, 1947, he published The Gold Cook Book, a collection of his columns from Gourmet magazine. Sure enough, there is a recipe for "Spaghetti alla Caruso" without chicken livers, and in parentheses it states, "Original recipe as prepared by this writer."
Caruso nella cucina

Un’altro libro rilevante fu pubblicato nel 1947. Lillian de la Torre Bueno McCue (1902-1993) e Carol Truax (1899-1986) scrissero The 60 Minute Chef. Figlia della giustizia della Corte Suprema Charles H. Truax (1846-1910), Carol Truax afferma di esser “cresciuta sulle celebrità e sul buon cibo.” Il giudice s’intratteneva spesso a casa loro a 12 East 65th Street, appena fuori dalla 5th Avenue. Truax ricordò l’entusiasta anticipazione che precedeva le cene.
Gli ospiti cominciarono ad arrivare, e i cappelli di seta montarono i gradini di brownstone. Sotto i cappelli ci sarebbero Elihu Root ed Enrico Caruso, [Oliver] Lyman Spa[u]lding e l’ambasciatore James [W.] Gerard.
Il racconto degli spaghetti Caruso inizia come segue:
“Quando ti senti affamato,” scarabocchiò Enrico Caruso nella foto che diede a Carol, “un piatto di spaghetti va bene, vero?” “Sì, mio caro signor Caruso,” scrisse John Brown, controllore del Metropolitan Opera, sulla sua metà dell’immagine, “ma quando mi sento affamato, non ho tempo di avvolgere quella dannata roba intorno alla mia forchetta.”
Ma quelle serate erano più divertenti, continua il racconto, in cucina,
quando il signor Caruso indossò il cappello del capo chef e creò un enorme piatto dei suoi spaghetti speciali, con i fegatini di pollo.
Quindi qui abbiamo due versioni pubblicate degli Spaghetti alla Caruso, tutte le due pubblicate nel 1947 – l’una con le zucchine, l’altra con i fegatini.

Nel summenzionato Spaghetti Dinner, Giuseppe Prezzolini scrive delle abitudini culinarie di Enrico Caruso.
Caruso era napoletano e naturalmente era dipendente dal suo piatto quotidiano di spaghetti. Come molti uomini italiani, era orgoglioso della sua reputazione di cuoco. All’Hotel York, Caruso andò in cucina per supervisionare personalmente la preparazione degli spaghetti per degli amici. Fece un sugo con pomodori, basilico, prezzemolo, peperoncino e olio d’oliva in cui l’aglio era stato fritto. Sui maccheroni diede una spolverata dorata di parmigiano e li decorò con gli zucchine a rondelle che erano state fritte.
Louis Diat (1885-1957) fu il gran chef del vecchio Ritz-Carlton Hotel di New York dal 1910 fino alla sua chiusura nel 1951. Originario di Vichy, fu inventore della zuppa di Vichyssoise (Crème Vichyssoise glacée). Secondo Nikla Hazelton, nel libro del 1984 Pasta Cookbook Diat
creò questo elaborato piatto per il tenore e amante della pasta, Enrico Caruso – o così mi disse Mr. Diat molti anni fa. La ricetta che segue, riprodotta più o meno alla lettera, non è affatto una cucina casalinga, ma può essere fatta a casa. Per inciso, nel linguaggio culinario “Caruso” indica sempre la presenza dei fegatini di pollo.
Hazelton offre ciò che lei sosteneva essere la ricetta di Diat, che sosteneva di aver ricordato con precisione. È una barzelletta –un’americanizzazione di una ricetta che indubbiamente era più francese che italiana. Come possiamo prendere sul serio una ricetta che suggerisce di cuocere gli spaghetti per 15 minuti? Lei avrebbe dovuto decidere se facesse gli spaghetti o la polenta.

Dopo aver letto ciascuno di questi racconti, uno più inverosimile dell’altro, è stato gradevole leggere finalmente qualcosa di credibile. Enrico Caruso: My Father and My Family fu scritto da Enrico Caruso Jr. e Andrew Farkas –due fonti molto affidabili. Anche se gli spaghetti alla Caruso non siano menzionati, il seguente racconto conferma che, in effetti, il gran tenore talvolta cucinava nelle case degli amici.
Molte volte Papà mi portava nei suoi ristoranti preferiti, Doctor Pane e Del Pezzo su 46th Street [sic], e un paio di volte andavamo a cena nella casa dei Garcia. Erano cubani ricchi, “baroni dello zucchero,” proprietari assenteisti che preferivano la vita cosmopolita di New York a quella dell’Avana. Papà era molto a suo agio nella loro casa. Gli piaceva cucinare, e posso ancora vederlo mentre preparò un piatto di pasta nella loro cucina durante una delle nostre visite. Un’altra volta, cucinò una cena al Vanderbilt Hotel per un piccolo gruppo di amici. Preparò il sugo per gli spaghetti così piccante che nessun altro poteva mangiarla, ma lui se la spalò in bocca senza battere ciglio. Fino ad oggi, non so se abbia reso piccante il sugo per sbaglio o perché gli piacesse così.
Ciò dimostra che Caruso abbia cucinato nella Suite del Vanderbilt, ma non dimostra che abbia cucinato nella cucina del Vanderbilt. Alfred Gwynne Vanderbilt I (1877-1915) aveva allestito gli ultimi due piani dell’allora nuovo hotel come residenza privata per la sua famiglia – “l’equivalente di una villa in città completa” secondo il New-York Tribune. La famiglia Caruso abitava in questa suite.
   Caruso in the kitchen

Another relevant book was published in 1947. Lillian de la Torre Bueno McCue (1902-1993) and Carol Truax (1899-1986) wrote The 60 Minute Chef. Daughter of Supreme Court justice Charles H. Truax (1846-1910), Carol Truax says that she was "brought up on celebrities and good food." The judge entertained often at their home on 12 East Sixty-fifth Street, just off Fifth Avenue. Truax remembered the excited anticipation that preceded the dinners.
The guests were beginning to arrive, and silk hats were mounting the brownstone steps. Under the hats would be Elihu Root and Enrico Caruso, [Oliver] Lyman Spa[u]lding and Ambassador James [W.] Gerard.
The account of spaghetti Caruso begins as follows:
"When you feel hungry," scrawled Enrico Caruso on the picture he gave Carol, "a dish of spaghetti is all right, [don’t you agree]?'' "Yes, my dear Mr. Caruso," scribbled John Brown, Metropolitan Opera comptroller, on his half of the picture, "but when I feel hungry, I haven't time to wind the damn stuff around my fork."
But such evenings were most fun, the account continues, in the kitchen,
when Mr. Caruso clapped on the high chef's cap and created an enormous platter of his own very special spaghetti, with chicken livers.
So here we have two published versions of "Spaghetti alla Caruso," both published in 1947 – one with zucchini, the other with chicken livers.

In the aforementioned Spaghetti Dinner, Giuseppe Prezzolini writes about the dining habits of Enrico Caruso.
Caruso was from Naples and naturally was addicted to his daily dish of spaghetti. Like many Italian men, he was proud of his reputation as a cook. At the Hotel York, Caruso went into the kitchen to supervise personally the preparation of spaghetti for some friends. He made a sauce with tomatoes, basil, parsley, red pepper and olive oil in which garlic had been fried. He gold dusted the macaroni with Parmesan cheese and decorated it with coins of zucchini squash that had been fried.
Louis Diat (1885–1957) was the great chef of the old Ritz-Carlton Hotel in New York dal 1910 fino alla sua chiusura nel 1951. A native of Vichy, he was the inventor of Vichyssoise soup (Crème Vichyssoise glacée). According to Nikla Hazelton in the 1984 "Pasta Cookbook," Diat
created this elaborate dish for the pasta-loving tenor Enrico Caruso — or so Mr. Diat told me many years ago. The recipe that follows, reproduced more or less verbatim, is by no means home cooking, but it can be made at home. Incidentally, in culinary language "Caruso" always indicates the presence of chicken livers.
Hazelton offers what she claimed to be Diat's recipe, which she claimed to have remembered accurately.  It is a joke -- an Americanization of a recipe that undoubtedly was more French than Italian.  How can we take seriously a recipe that suggests cooking the spaghetti for 15 minutes?  She should have decided if she was making spaghetti or polenta.

After reading each of these accounts, one more implausible than the other, it was refreshing to finally read something credible. Enrico Caruso: My Father and My Family was written by Enrico Caruso Jr. and Andrew Farkas – two very reliable sources. Though spaghetti alla Caruso is not mentioned, the following account confirms that, indeed, the great tenor sometimes cooked in friends' homes.
Many times, [Papa] took me along to his favorite restaurants, Doctor Pane’s and Del Pezzo’s on Forty-sixth Street [sic], and a couple of times we went to dine at the home of the Garcias. They were wealthy Cuban "sugar barons," absentee landlords who preferred the cosmopolitan life of New York to that of Havana. Papa was very much at ease in their home. He enjoyed cooking, and I can still see him preparing a pasta dish in their kitchen on one of our visits. Another time, he cooked dinner at the Vanderbilt Hotel for a small group of friends. He made the spaghetti sauce so hot that no one else could eat it, but he shoveled it into his mouth without blinking an eye. To this day, I don’t know whether he made the sauce hot by accident or because he liked it that way.
This proves that Caruso cooked in the Vanderbilt Suite, but does not prove that he cooked in the Vanderbilt kitchen. Alfred Gwynne Vanderbilt I (1877-1915) had set up the top two floors of the then-new hotel as a private home for his family – "the equivalent of a complete town house" according to the New-York Tribune. Caruso’s family lived in this suite.
La filantropia di Caruso

Accadde che Enrico Jr. non fosse corretto sulla posizione di Del Pezzo. Anche se in seguito si trasferì, Del Pezzo in quel periodo si trovava a 211 West 34th Street. Scoprire l’ubicazione di Dr. Pane era più difficile. Tuttavia, la ricerca mi ha fatto conoscere il dott. Luigi Pane stesso, una storia affascinante che fino ad ora è sfuggita dalle biografie di Caruso. In And the Champagne Still Flows leggiamo:
Come tanti altri del periodo, Pane decise che il suo futuro fosse in America. All’arrivo, e con suo gran dispiacere, apprese che sotto la sua attuale licenza non poteva praticare medicina qui. Dopo molte delusioni e rese obbligatorie a questa legge, si rivolse di nuovo al suo benefattore, Enrico Caruso. Lui e Caruso decisero che Pane debba aprire un ristorante per il quale Caruso si offrì di finanziare.
Incuriosito, ho scavato più a fondo. In Lucky Rooster: The Autobiography of an Impresario (1967), Fortune T. Gallo ricorda:
Quasi la mia prima tappa è stata il ristorante del dott. Luigi Pane, uno dei ristoranti più famosi di New York e il mio posto preferito negli anni prima della guerra. Dott. Pane, un napoletano con una laurea in medicina, era un personaggio davvero favoloso. A causa di alcuni ostacoli legali non era in grado di esercitare la sua professione quando venne negli Stati Uniti (arrivò nel 1903, se ricordo bene). Se non fosse stato per Enrico Caruso, non si può dire cosa sarebbe potuto succedere a lui, poiché la medicina era tutto ciò che sapeva. Caruso, come aveva già fatto per così tante persone, dimostrò sia il benefattore che l’amico. In effetti, il gran tenore aveva aiutato Pane anni prima in Italia, quando Pane stava iniziando la sua carriera medica e aveva bisogno di soldi per continuare i suoi studi.

Caruso fornì al giovane medico dei fondi per aiutarlo a superare i punti difficili. Lo anche aiutò in molti altri modi, attraverso i suoi amici e contatti. Quando Pane venne in America e trovò proibita la via per la sua pratica, si rivolse ancora una volta a Caruso. Caruso non lo deluse. Con il sostegno finanziario del tenore, Pane aprì uno stabilimento di ristorazione privato su 48th Street Ovest, per poi spostarsi su 46th Street Ovest tra 6th Avenue e 7th Avenue.
   The philanthropy of Caruso

It so happened that Enrico Jr. was incorrect about the location of Del Pezzo’s. Though it later moved, in those days Del Pezzo’s was located at 211 West 34th street. Discovering the location of Dr. Pane was more difficult. However, the search caused me to learn about Dr. Luigi Pane himself – a fascinating story that, till now, has escaped the Caruso biographies. In And the Champagne Still Flows we read:
Like so many others of the period Pane decided that his future lay in America. Upon arrival, and to his great chagrin, he learned that under his present license he could not practice medicine here. After much disappointment and obligatory surrender to this law he once again turned to his benefactor, Enrico Caruso. He and Caruso decided that Pane should open a restaurant for which Caruso offered to put up the funding.
Intrigued, I dug deeper. In Lucky Rooster: The Autobiography of an Impresario (1967), Fortune T. Gallo remembers:
Almost my first stop was Dr. Luigi Pane's Restaurant, one of New York's most famous eating places and my favorite stamping ground in the years before the war. Pane, a Neapolitan with a medical degree, was a truly fabulous character. Because of some legal obstacles he was unable to practice his profession when he came to the United States (he arrived in 1903, as I recall). If it had not been for Enrico Caruso, there is no telling what might have become of him, since medicine was all he knew. Caruso, as he had done for so many people before, proved both benefactor and friend. In fact, the great tenor had helped Pane years earlier in Italy when Pane was just starting out on his medical career and needed money to continue his studies. Caruso provided the fledgling physician with funds to tide him over the rough spots. He also helped him in a number of other ways, through his friends and contacts. When Pane came to America and found the way barred to his practice, he turned once again to Caruso. Caruso did not let him down. With the tenor's financial backing, Pane opened a private eating establishment on West Forty-eighth Street, later moving to West Forty-sixth Street between Sixth and Seventh avenues.
Ambasciatore della gastronomia napoletana

Alla fine, dopo aver esaminato tutte queste fonti e ponderato tutte queste informazioni, sono tornato alla prima fonte, il sito web del Grand Hotel Vesuvio di Napoli.
Si compiaceva, infatti, di aiutare a far trasferire a New York i più bravi pizzaioli e cuochi napoletani dando loro una mano a mettere su un esercizio nella “Little Italy”, con la speranza di ricreare un angolo della sua amata Partenope. Divennero così famosi i maccheroni della Costiera Amalfitana, la pasta di Gragnano, Torre Annunziata e Torre del Greco, e lo stesso avvenne per l’olio extravergine dei colli di Sorrento e per i pomodori S.Marzano. Questi prodotti cominciarono ad invadere il mercato americano, per cui l’opera del tenore fu meritoria in quanto promotrice di vari contratti commerciali, tanto che oggi, si può affermare che Enrico Caruso fu il più celebre ambasciatore della nostra gastronomia regionale. La passione per la cucina era affiancata dalla sua abilità di cuoco: era solito infatti cimentarsi nelle cucine dei vari ristoranti italiani di Brooklyn o invitare gli amici nella sua grande villa per dar prova delle sue capacità culinarie, incoraggiato dall’applauso della sua corte. Con una punta di falsa modestia, egli così sentenziava: “Dite di me che sono un modesto tenore, ma non mi dite che sono un cattivo cuoco!”. Il piatto che riusciva ad entusiasmare soprattutto i suoi amici italo-americani erano i “Bucatini alla Caruso”.

A fuoco lento far soffriggere due spicchi d’aglio, quindi togliere la padella dal fuoco ed asportare i pezzetti d’aglio rosolati. Spezzettare alcuni pomodori San Marzano maturi e tagliare uno o due peperoni gialli o rossi: riportare a fuoco allegro e condire con sale, un pizzico di origano e abbondantissimo basilico. Aggiungere un peperoncino rosso. Intanto tagliare alcuni zucchini a rondelle, infarinarli e friggerli. I bucatini, cotti al dente e scolati, si condiscono con il sugo preparato, si cospargono con le rondelle di zucchini e infine si cosparge il tutto con prezzemolo finemente tritato.
Una ricetta simile ma più esatta è data da Frank Fariello, il cui blog “Memorie di Angelina” è da molti anni il miglior foodblog italoamericano su Internet.

Ingredienti

400 gr bucatini

Per la salsa di pomodoro:
300-400 g pomodori [San Marzano] tritati
2 spicchi d’aglio, pelati e leggermente schiacciati
Un peperone rosso, pulito e tagliato a listarelle o a dadini
Un pizzico di origano
Un pizzico di peperoncino rosso
Alcune foglie di basilico
Olio d’oliva

Per le zucchine:
1 o 2 zucchine piccole, affettate
Olio d’oliva
Sale e pepe

Per la superficie (opzionale):
fresco tritato finemente

Preparazione

Mettete a bollire una grande pentola d’acqua e salatela bene. Rosolate leggermente gli spicchi d’aglio in abbondante olio d’oliva. Rimuovete quando sono rosolati abbastanza ma non troppo scuri. Aggiungete il peperone e farlo rosolare per un minuto o due, quindi aggiungete i pomodori tritati, un pizzico di origano e un pizzico di peperoncino. Fate bollire finché il composto si addenserà e diventerà una salsa, circa forse 10-15 minuti. Mentre i pomodori sobbolliscono, buttate i bucatini nell’acqua bollente. Nel frattempo, togliete le parti superiori e inferiori delle zucchine, tagliatele a rondelle sottili, quindi fatele soffriggere in olio d’oliva fino a doratura su ciascun lato. Scolate su carta assorbente e salate generosamente. Quando i bucatini saranno al dente, trasferiteli nella padella con la salsa, insieme ad alcune foglie di basilico fresco e la maggior parte delle zucchine fritte. Mescolate per un minuto o due a fuoco basso quindi servite, condito con il resto delle fette di zucchine fritte e, se preferite, una spolverata di prezzemolo tritato finemente.

Il signor Fariello è tra quelli che dubitano dell’autenticità dell’altra versione (quella con i fegatini di pollo). “C’è un altro piatto in giro per il mondo di lingua inglese con il nome di Spaghetti Caruso, piatto molto diverso da questa – salsa di pomodoro con fegatini di pollo e funghi – che è più autunnale e, oserei dire, più toscano che napoletano.”

Altri chef hanno favorito la versione zucchine, come Arthur Schwartz nel suo meraviglioso libro del 1998, Naples at Table. E Claudio Novelli condivide i dubbi di Frank Fariello sull’autenticità della versione fegatini. Novelli si riferisce ad essa come la “ricetta americana” – “americano” essendo un aggettivo usato dagli snob italiani come sinonimo per “inferiore.” Comunque, Novelli si contraddice affermando che i fegatelli di pollo fossero “[m]ediamente aborriti dal pubblico americano come tutte le frattaglie, potrebbero essere stati invece apprezzatissimi da Caruso....”
   Ambassador of Neapolitan gastronomy

Finally, after poring over all of these sources and pondering all of this information, I returned to the first source, the above-mentioned website of the Grand Hotel Vesuvio in Naples.
Another of Caruso’s passions was for food, especially Neapolitan, which he said was the most fragrant, the simplest and the cheapest in the world. He was proud of his role in helping the best Neapolitan pizza makers and cooks make their move to New York, by helping set up a business in "Little Italy". He hoped to create a corner of his beloved Partenope there, and helped the rise to fame of macaroni from the Amalfi coast, pasta from Gragnano, Torre Annunziata and Torre del Greco, as well as the extra-virgin olive oil from the hills around Sorrento and world-renowned San Marzano tomatoes. These products began to penetrate the American markets and some credit is due to the singer who had advertising contracts with a number of firms. Decades later, Enrico Caruso could be described as the most famous ambassador ever of this regional gastronomy. His passion for the cuisine of his native region went hand in hand with his skills as a cook: he was often found in the kitchens of Italian restaurants in Brooklyn. He would invite friends to his great villa to show off his culinary prowess, encouraged by the applause of his entourage. The dish which was most appreciated by his Italo-American friends was "Bucatini alla Caruso":

On low heat fry two cloves of garlic, then remove the pan from the heat and remove the browned pieces of garlic. By hand break some ripe San Marzano tomatoes and slice one or two yellow or red peppers: raise the heat and season with salt, a pinch of oregano and abundant basil. Add a red chili pepper. Meanwhile, slice some zucchini into medallions, flour them and fry them. The bucatini, cooked al dente and drained, are seasoned with the prepared sauce, topped with the zucchini, and finally the whole is covered with finely chopped parsley.
A similar, but more exact, recipe is given by Frank Fariello, whose blog "Memorie di Angelina" has for many years been the finest Italian-American foodblog on the Internet. 

Ingredients

400g (14 oz) bucatini

For the tomato sauce:
 300-400g (12-14 oz) [San Marzano] tomatoes, chopped
2 garlic cloves, peeled and slightly crushed
A red bell pepper, trimmed and cut into strips or small dice
A pinch of oregano
A pinch of red pepper flakes
A few basil leaves
Olive oil

For the zucchini:
1 or 2 small zucchini, sliced
Olive oil
Salt and pepper

For the topping (optional):
Finely minced fresh parsley

Preparation

Set a large pot of water to boil and salt it well. Sauté the garlic cloves lightly in abundant olive oil. Remove when they've browned, but are still not very dark. Add the bell pepper and let it sauté for just a minute or two, then add the chopped tomatoes, along with a pinch of oregano and a pinch of red pepper flakes. Simmer until the mixture thickens into a sauce, about perhaps 10-15 minutes. While the tomatoes are simmering, add the bucatini to the boiling water. Meanwhile, trim off the tops and bottoms of the zucchini, cut them into thin rounds, then shallow-fry them in olive oil until golden brown on each side. Drain on paper towels and salt generously. When the bucatini are done al dente, transfer them to the pan with the sauce, along with a few fresh basil leaves and most of the fried zucchini. Mix for a minute or two over low heat then serve, topped with the rest of the fried zucchini slices and, if you like, a sprinkling of finely minced parsley.

Mr. Fariello is among those who doubt the authenticity of the other version (the one with chicken livers). "There is another dish going around the English speaking world by the name of Spaghetti Caruso. A very different dish from this one — tomato sauce with chicken livers and mushrooms — that’s more autumnal and, I would dare say, more Tuscan sounding than Neapolitan."

Other chefs have favored the zucchini version, such as Arthur Schwartz in his wonderful 1998 book, Naples at Table. And Claudio Novelli shares Frank Fariello’s doubts about the authenticity of the liver version. Novelli refers to it as the "American recipe" – "American" being an adjective used by Italian snobs as a synonym for "inferior." However Novelli contradicts himself, stating that chicken livers were "abhorred by most Americans, as were all entrails. [However] by Caruso they would have instead have been very much appreciated."
Conclusione

In fin dei conti, Novelli preferisce la versione di Diat.
Anche perché quella con le zucchine è di una banalità avvilente, mentre la prima magari sarà stata l’opera di qualche cuoco al quale Caruso avrà disperatamente cercato di spiegare una “finanziera”: con risultati dubbi...
Non posso concordare con nessuna delle due opinioni di Novelli. La gloriosa zucchina non è né banale né avvilente! La seconda teoria è particolarmente assurda. La finanziera è una ricetta classica della cucina borbonica, cioé la cucina delle Due Sicilie nell’epoca pregaribaldina. Non è credibile che Caruso avrebbe tentato di “insegnare” una tal ricetta a uno chef d’albergo, quando aveva amici napoletani come il dott. Pane che già la sapevano fare!

(La Finanziera è un piatto fatto con i visceri del pollo – non solo i fegatini, ma anche le animelle, le creste e i bargigli. Le parti sono infarinate, saltate in burro e aglio, e sfumate con vino.)

Novelli propone la seguente ricetta per gli Spaghetti alla Caruso (versione fegatini):
[M]ezzo chilo di fegatelli di polli, ben puliti e risciacquati, asciugati, infarinati e rapidamente rosolati in padella con un filo d’olio. Messi da parte, cucinare in 40 grammi di burro 400 grammi di funghi misti, e cuocerli fino a quando non cominciano a tirar fuori la loro acqua. Aggiungere allora un bicchiere di vino rosso secco e farlo sfumare, una scatola da 800 grammi di pelati e lasciar “pippiare” quietamente. Affettare i fegatelli e aggiungerli con il loro sugo alla salsa. Far cuocere ancora per una mezz’ora. Una volta cotta quella libbra di pasta, indicata come spaghetti o perciatelli, dividerla in piatti individuali, versarvi sopra la salsa e guarnire con prezzemolo tritato. Parmigiano in tavola.
Dunque, quale versione credete che sia la versione più “autentica”? Quella dei fegatini, o quella delle zucchine?

Prima di rispondere, signore e signori, lasciate che vi parli della TERZA versione!

Secondo Novelli,
Nel 1915, dopo una serie di concerti che avevano portato Montevideo alle soglie del delirio, I proprietari del ristorante El Aguila, situato giusto a fianco del prestigioso teatro Solis, dove Caruso era solito cantare, decisero di preparare una salsa speciale per accogliere la “figura de renombre mundial” e decisero che la ricetta doveva basarsi su una miscela di tradizioni gastronomiche italiane importate dagli immigranti. ... Caruso, sporco di cerone, che entra come un assatanato nelle cucine del ristorante e con le proprie mani... Poi spaghetti, bucatini e salsa scomparvero nel nulla.

Nel 1950, Raymundo Monti, chef del ristorante Mario & Alberto di Montevideo, la rispolverò con qualche piccola variante e la abbinò alle orecchiette; da allora, pur subendo modifiche di lieve entità, si è posizionata in tutta l’America del Sud come una delle salse principali di accompagnamento alle paste. ... [La ricetta] prevede latte, burro, crema di latte, estratto di carne, prosciutto cotto a dadini, funghi à la julienne, formaggio grattugiato, sale, pepe e una grattugiata di noce moscata. Se, una volta condita la pasta, si aggiunge un quarto di mozzarella a filetti e la si mette in una teglia imburrata e si passa al forno rovente, si ha la versione ‘‘Príncipe de Nápoles”.
Faccio l’argomento – credo un argomento forte –che questa famosa ricetta abbia preso il nome dal Principe Canoro di Napoli!
   Conclusion

When all is said and done, Novelli prefers Diat’s version.
Also because the zucchini version is dishearteningly trivial, while the first version [liver] was perhaps the work of some cook to whom Caruso desperately tried to explain how to make "finanziera," with dubious results ...
I cannot agree with either of Novelli’s two opinions. The glorious zucchini are neither disheartening nor trivial! The second theory is particularly absurd. Finanziera is a classic recipe from the Bourbonic cuisine, that is the cuisine of the Two Sicilies in the pre-Garibaldi era. It is not credible that Caruso would have tried to "teach" such a recipe to a hotel chef, when he had Neapolitan friends like Dr. Pane who already knew how to make it!

(Finanziera is a dish made with the viscera of the chicken – not only the livers, but also the sweetbreads, crests, and wattles. The parts are floured, sautéed in butter and garlic, and deglazed with wine.)

Novelli suggests the following recipe for Spaghetti alla Caruso (liver version):
Half a kilo of chicken livers, well cleaned and rinsed, dried, floured and quickly browned in a pan with a little oil. Put aside, cook in 40 grams of butter 400 grams of mixed mushrooms, and cook them until they start to pull out their water. Then add a glass of dry red wine and let it evaporate, a box of 800 grams of peeled tomatoes and let it gently simmer ("pippiare"). Slice the livers and add them with their sauce to the sauce. Cook for another half an hour. Once cooked that pound of pasta, referred to as spaghetti or perciatelli, divide it into individual dishes, pour over the sauce and garnish with chopped parsley. Parmesan on the table.
So, which version do you think is the most "authentic" one? The liver version, or the zucchini version?

Before you answer, ladies and gentlemen, let me tell you about the THIRD version!

According to Novelli,
In 1915, after a series of concerts that had brought Montevideo to the threshold of delirium, the owners of the restaurant El Aguila, located just next to the prestigious Teatro Solis, where Caruso used to sing, decided to prepare a special sauce to welcome the figura de renombre mundial and decided that the recipe should be based on a mixture of Italian gastronomic traditions imported by immigrants.  ... There is a legend that tells us how Caruso, still in his stage makeup, entered like one possessed in the kitchen of the restaurant and dived into the spaghetti and sauce. The food quickly disappeared. ...

In 1950, Raymundo Monti, chef at the Mario & Alberto restaurant in Montevideo, touched up the sauce with some small variations and combined it with orecchiette; since then, although it has undergone slight changes, it has spread throughout South America as one of the main sauces to accompany pasta. ... [The recipe] calls for milk, butter, cream, meat extract [beef bouillon], diced ham, julienne mushrooms, grated cheese, salt, pepper and fresh grated nutmeg. If, once the pasta is combined with the sauce, you then add 250 gr sliced mozzarella and place it in a buttered pan and in a hot oven, you have the Príncipe de Nápoles ("Prince of Naples") version ...
I make the argument – I believe a strong argument – that this famous recipe was indeed named after Naples's Prince of Song!
alla salsa ‘‘Principe di Napoli”
ricetta di Leonardo Ciampa

Ho studiato diverse ricette per ‘‘Principe di Napoli” (tra cui una di Montevideo, dove nacque il piatto originale). La seguente è la mia ricetta, una combinazione dei migliori elementi delle diverse versioni, che poi ho tradotto in lingua italiana.

Ingredienti per la salsa
200 gr. funghi, precedentemente tagliati e saltati oppure grigliati
2 pomodori medi, sbuciati e frantumati
150 gr. prosciutto cotto, a cubetti
150 gr. mozzarella, a cubetti
250 ml latte intero
6 cucchiai (c. 90 gr) roux (opzione più salutare: 3 cucchiai di amido di mais, precedentemente sciolti in una quantità uguale (circa 45 ml) di acqua fredda)
500 ml panna
pepe nero, macinato al momento
noce moscata, macinata al momento
parmigiano, grattugiato frescamente

Preparazione

Per preparare il roux: in una pentola, fate sciogliere 3 cucchiai (c. 45 gr) di strutto (oppure burro). Poi spegnete il fuoco e aggiungete 3 cucchiai (c.45 g) di farina precedentemente setacciata. Mescolate con una frusta per evitare la formazione di grumi. Poi rimettete sul fuoco dolce e mescolate fino a farla diventare dorata.

Per fare la besciamella: su questo roux, versate un po' del latte, per stemperare il fondo, mescolando con la frusta. Poi unite il resto del latte, sempre mescolando con la frusta. Fate cuocere 5-6 minuti a fuoco dolce finché la salsa si addenserà.

In questa besciamella aggiungete i pomodori schiacciati finché la salsa raggiungerà un colore rosa. Quindi aggiungete la panna e fate cuocere per 10 minuti, ancora a fuoco basso. Infine, aggiungete il prosciutto, i funghi, la mozzarella, il pepe e la noce moscata, e fate cuocere per altri 10 minuti.

Anche se potreste usare la pasta di vostra scelta, questa salsa si usa principalmente per la pasta ripiena (di solito i ravioli, ma i cannelloni non sono sconosciuti).

In una grande pentola di abbondante acqua salata, fate bollire la pasta al dente. Prendete una teglia da forno e ricoprite il fondo con della salsa. Disponete la pasta. Sopra la pasta coprite completamente con la salsa. Cospargete la superficie con una spolverata di parmigiano. Mettete la teglia nel forno sotto la griglia, per fare il gratin (cioé per leggermente rosolare la superficie).

Variante: invece del prosciutto cotto, si potrebbe utilizzare o la pancetta o il bacon o il guanciale e saltarlo insieme con i funghi.
  
Baked ravioli
with "Prince of Naples" Sauce
recipe by Leonardo Ciampa

I studied several recipes for "Prince of Naples" (including one from Montevideo, where the original dish was born). The following is my recipe, a combination of the best elements of the different versions, which I then translated into Italian. Here is my English translation of the Italian:

Ingredients for the sauce
200 gr. mushrooms, previously sliced and sautéed or grilled
2 medium tomatoes, skinned and crushed
150 gr. cooked ham, cubed
150 gr. mozzarella, cubed
250 ml whole milk
6 TB (c. 90 gr) roux (healthier alternative: 3 TB cornstarch, previously dissolved in an equal quantity (c. 45 ml) of cold water)
500 ml heavy cream
fresh-ground black pepper
fresh-ground nutmeg
fresh-grated parmigiano

Preparation

To prepare the roux: in a saucepan, melt 3 TB (about 45 g) of lard (or butter). Then turn off the heat and add 3 tablespoons (c.45 g) of previously sifted flour. Stir with a whisk to avoid lumps. Turn the flame on low and stir until it becomes golden.

To make the béchamel: pour a little milk on this roux, to dilute and soften it, stirring with a whisk. Then add the rest of the milk, continuously stirring with the whisk. Cook 5-6 minutes on low heat until the sauce thickens.

Into this béchamel add the crushed tomato until the sauce attains a pink color. Then add the cream and cook for 10 minutes, still on low heat. Finally, add the ham, mushrooms, mozzarella, pepper, and nutmeg, and cook for another 10 minutes.

Though you can use the pasta of your choice, this sauce is mainly used for stuffed pasta (usually ravioli, but cannelloni are not unknown).

In a large pot of abundant salted water, boil the pasta until al dente. Take an oven pan and cover the bottom with some sauce. Arrange the pasta. Over the pasta, cover completely with the sauce. Sprinkle the surface with a dusting of parmigiano. Put the pan in the oven under the broiler, to make the gratin (i.e., to lightly brown the top).

Variant: instead of cooked ham, you could use pancetta, bacon, or guanciale, and sauté it together with the mushrooms.