Tornare negli Stati Uniti dall’Italia non è mai facile per me. Come mi disse una volta (semplicisticamente, ma accuratamente) un’amica romana che viveva in America: “L’Italia ha cultura ma non lavoro. L’America ha lavoro ma non cultura.” Il mio ultimo rientro è stato particolarmente difficile. Potrà sembrarvi strano. Ma la cosa che desideravo di più, la cosa che più amaramente mi mancava, non era la musica, né il paesaggio, né il vino. Desideravo una percoca. Sembra che ogni volta che vado a Tortona, mi colpiscono le diverse priorità dell’Italia. Era il 25 novembre 2007. Domenica mattina. Mercati aperti in Piazza Duomo. Bancarelle varie, coperte dai tesori. (Ne ricordo una che era piena di caffettiere antiche.) E ad una bancarella, una grossa forma di formaggio (della zona), un grosso salame (della zona), una bottiglia di spumante bianco (della zona), e una pagnotta (appena sfornata). Guardai questo tavolo con bocca aperta e occhi spalancati. “Quanto costa?” chiesi. Non dimenticherò mai lo sguardo sorpreso sul viso della donna. “Costo? No, è gratis. Ma abbiamo questi bei calendari...” Era un calendario religioso di qualche piccola organizzazione religiosa per 5 euro. Vabbè, comprai il calendario, presi il piattino di carta e il bicchiere di plastica, trovai una panchina, buttai via il calendario e consumai quello spuntino regale. Ora mettiamo a confronto gli Stati Uniti. Le chiese hanno mucchi di calendari. Li regalano gratuitamente. Ma quello spuntino costerebbe $ 25! Quindici anni dopo, ero di nuovo a Tortona. Potrei raccontare tante storie meravigliose dei miei pasti conviviali con i sacerdoti. Le donazioni dei fedeli ai sacerdoti venivano spesso sotto forma di cibo e bevande. Un giorno, un regalo fu una scatola di percoche. Era chiaro che provenivano dai percochi del cortile di qualcuno. Non erano trattate di sostanze chimiche. Ciò significava che erano dolce e deliziose e non avevano un retrogusto antipatico. Significava anche che una grande percentuale di loro, forse la metà, aveva delle macchie su di loro. Nessuno disse una parola; semplicementene prendevano una buona, oppure ne prendevano una macchiata e ne tagliavano le parti cattive. Ad ogni pasto, la percentuale di percoche buone era più piccola. Dopo un paio di pasti, praticamente ogni percoca nella scatola era macchiata. Al prossimo pasto, la scatola non c’era. Invece, c’era una ciotolona di bellissime percoche tagliate! Erano così belle che non avreste mai immaginato che provenissero da quella scatola di indesiderabili. Né immaginereste che da loro si possa estrarre abbastanza frutta buona da riempire una ciotolona! Non che tagliare le percoche fosse una procedura difficile. Ci è voluto semplicemente tempo. Era abbastanza importante che ne trovassero il tempo. Le priorità. (C’era un po’ di liquido dentro quella ciotolona. Magari una goccia dello spumante bianco per cui quella provincia è famosa?) Una volta mia zia mi raccontò che a mio nonno paterno piacevano le percoche affettate nel vino. ”Si beve e si mangia.” (Anni dopo, un amico napoletano spiegò che in questo caso sarebbero state utilizzate solo le percoche con il nocciolo aderente, non le pesche con il nocciolo libero. Lui era irremovibile sul fatto che non si aggiungeva mai né zucchero né spezie.) Nella mia mentalità americana, immaginavo che le pesche di supermercato venissero tagliate e gettate nel vino. (Che ne sapevo di pesticidi?) Tuttavia, dopo questa bella esperienza tortonese, ho capito che non era così che fosse nata questa ricetta. Alla fattoria niente viene buttato via, nemmeno la frutta marcia. In un frutto marcio, la parte buona è dolce come il miele. La frutta più deliziosa di questa non esiste proprio. Sono queste belle fette che sono aggiunte al vino. Che bisogno ci sarebbe di aggiungere zucchero o altro? Qui negli USA si vedono le diverse priorità. In America buona fortuna nel trovare frutta non trattata. Oppure grano non trattato, oppure frutta secca non trattata, oppure latte non trattato... Ecco perché tutti siamo allergici. Ecco perché tutte le nostre ricette sono costantemente abbellite e complicate. Aggiungiamo un po’ di zucchero, panna e spezie e... Una settimana dopo aver lasciato Tortona, feci visita ai miei meravigliosi cugini a Montefalcione, il paese irpino dove i Ciampa vivevano per secoli (e vivono tuttora). Dopo solo pochi giorni il mio palato si abituava alla frutta non trattata, al vino fatto in casa da uve non trattate, all’olio d’oliva fatto in casa da olive non trattate, al formaggio fatto in casa da latte non trattato, ai salumi fatti in casa dalla carne di maiali non avvelenati. Diversi anni fa, un mio amico napoletano (lo stesso che mi parlò di percoche vs. pesche) mi parlò delle difficoltà di crescere a Torre del Greco durante la guerra. Una delle gioie della sua infanzia era quella di trascorrere l’estate in campagna. Lì, mi spiegò, non aveva mai fame, perché c’erano vari alberi da frutta fresca e secca. Tutto quello che doveva fare era allungare una mano e mangiare quando voleva. Americano che sono, ricordo di aver pensato: “Come si potrebbe accontentarsi di mangiare solo frutta?” Grazie ai miei cugini montefalcionesi, ho capito subito! Mangiavo fichi, mele, prugne, uva, olive e, naturalmente, percoche, tutte dal loro proprio giardino, nessuna delle quali trattata. Ricordo ancora la prima percoca che mangiai, il giorno del mio arrivo. Dolce, succosa e senza nemmeno una macchia. Era così spettacolare che ne feci una foto! (Per coincidenza, quel giorno – il 27 agosto – era l’anniversario della morte di mio nonno, lo stesso nonno che amava le percoche al vino.) Come ho detto prima, questo rientro in America mi è stato particolarmente difficile. Per i primi giorni cercavo di non pensare a niente e di immergermi nel lavoro che mi aspettava. Poi un giorno sono andato al supermercato. Sono andato alla sezione ortofrutticola. Gli scaffali erano mezzi vuoti. Degli ortofrutticoli che c’erano, la maggior parte era o immatura o marcia. Poiché desideravo ardentemente le pesche, ho deciso di comprarne alcune. (Non senza riluttanza.) GROSSO SBAGLIO! Anche dopo aver lavato bene le pesche, le mie labbra erano un po’ pruriginose e tutto l’interno della mia bocca era pieno di un retrogusto sgradevole. Che tipo di “società avanzata” è questa? Che tipo di “qualità della vita”? Abbiamo avvelenato il nostro cibo. Il grano è avvelenato. (Il grano – il cibo che ha tenuto in vita la razza umana per millenni. L’abbiamo avvelenata.) Il latte è avvelenato. La frutta secca è avvelenata. Che “coincidenza” che le allergie al grano, alla frutta a guscio e ai prodotti lattiero-caseari sono comunissimi negli USA! Gli animali sono pieni di ormoni. E, naturalmente, l’acqua è inquinata. Di tutte le cose su questo pianeta in cui viviamo – di cui ne abbiamo solo uno – che avremmo potuto scegliere di inquinare, quale abbiamo scelto di inquinare? L’ACQUA. Ho smesso di comprare gli ortofrutticoli al supermercato. Ora faccio la spesa a un “farmer’s market” non lontano da casa mia. Intendiamoci, “fresca dalla fattoria” è un termine improprio. “Fresco dalla fattoria” e “fresco dal tuo giardino” non sono la stessa cosa. Gli agricoltori trattano i loro raccolti. Così arriviamo allo stesso problema. Ma forse, all’età di 51 anni, sono ancora abbastanza giovane da vivere abbastanza per vedere quel giorno che gli Stati Uniti d’America producano la frutta non avvelenata. Cinquant’anni fa sapevamo già come promuovere gli insetti benefici che mangiano i parassiti bersaglio. Abbiamo anche insetticidi biologici, derivati da microrganismi presenti in natura. Questa nazione “avanzata” di “qualità” utilizzerà questi metodi? Rinuncerà ai veleni? O i fabbricanti dei veleni continueranno a comprare il governo e la comunità scientifica? |
Returning to the United States from Italy is never easy for me. As a Roman friend living in America once said to me (oversimplistically, but accurately), “Italy has culture but no jobs. America has jobs but no culture.”
My latest re-entry was particularly hard. This may sound strange to you. But the thing I longed for the most, the thing I most bitterly missed, was not the music, nor the scenery, nor the wine. I longed for a clingstone peach. It seems like every time I go to Tortona, I am struck by the different priorities of Italy. It was November 25, 2007. Sunday morning. Open markets in the Piazza Duomo. Various long tables, covered with treasures. (I remember one that was filled with antique coffeemakers.) And at one table, a large wheel of cheese (from the area), a large salami (from the area), a bottle of white sparkling wine (from the area), and a loaf of bread (freshly baked). I beheld this table with jaw dropped and eyes wide open. “How much does it cost?” I asked. I’ll never forget the surprised look on the woman’s face. “Cost? No, it’s free. But we have these nice calendars ...” It was a religious calendar of some small religious organization for 5 Euros. OK fine, I bought the calendar, took my little paper plate and plastic cup, found a bench, threw the calendar away, and consumed that regal snack. Now compare the United States. Churches have piles of calendars. They give them away for free. But that snack would cost $25! Fifteen years later, I was again in Tortona. I could tell many wonderful stories of my convivial meals with the priests. Donations from the faithful to the priests often came in the form of food and drink. One day, a gift was a box of clingstone peaches. It was clear that they had come from the peach trees in someone’s backyard. They were not treated with chemicals. This meant that they were sweet and delicious and had no nasty aftertaste. It also meant that a large percentage of them had marks on them – maybe half. No one said a word; they simply took a good one, or they took a marked one and cut away the bad parts. With each meal, the percentage of good peaches was smaller. After a couple of meals, virtually every peach in the box was marked. At the next meal, there was no box. Instead, there was a large bowl of beautiful cut peaches! They were so beautiful that you would never have imagined that they came from that box of undesirables. Nor would you imagine that enough good fruit could be extracted from them to fill a large bowl! Not that cutting the peaches was a difficult procedure. It simply took time. It was important enough that they made the time for it. Priorities. (There was a little liquid in that large bowl. Was it a drop of the sparkling white wine for which that province is famous?) An aunt once told me that my parental grandfather liked to have sliced peaches in wine. “You drink and you eat.” (Years later, a Neapolitan friend explained that only clingstone peaches would be used in this, not freestone peaches. And he was adamant that you never added sugar or spices.) In my American mentality, I imagined that supermarket peaches were cut up and thrown into the wine. (What did I know about pesticides?) However, after this beautiful experience in Tortona, I realized that that was not how this recipe was born. On the farm nothing is thrown away – not even rotten fruit. In a piece of rotten fruit, the good part is sweet as honey. No more delicious fruit exists. Those are the pieces that you add to the wine. What need would there be to add sugar, or anything else? Here in the US you have different priorities. In America good luck finding untreated fruit. Or untreated wheat, or untreated nuts, or untreated milk ... Which is why everyone has allergies. It is also why recipes are constantly embellished and complicated. Let’s add some sugar, and cream, and spices, and ... A week after leaving Tortona, I visited my wonderful cousins in Montefalcione, the Avellinese town where the Ciampas lived for centuries (and still live). After only a few days, my palate got used to untreated fruit, to homemade wine made from untreated grapes, to homemade olive oil from untreated olives, to homemade cheese from untreated milk, to homemade cold cuts from pigs that were not poisoned. Several years ago, my Neapolitan friend (the same one who told me about clingstone vs. freestone peaches) told me about the difficulties of growing up in Torre del Greco during the war. One of the joys of his childhood was to spend the summer in the country. There, he explained, he was never hungry, because there were various fruit and nut trees. All he had to do was reach up and eat whenever he wanted. American that I am, I remember thinking, “How could you be satisfied eating just fruit and nuts?” Thanks to my cousins in Montefalcione, I quickly understood! I ate figs, apples, plums, grapes, olives and of course peaches from their own backyard – none of it treated. I still remember the first peach I ate, on the day of my arrival. Sweet, juicy, and not a mark on it. It was so spectacular that I took a photo of it! (By coincidence, that day – August 27 – was the anniversary of the death of my grandfather, the same grandfather who loved peaches in wine.) Like I said earlier, this re-entry into America was particularly difficult. For the first few days I tried not to think about anything and immerse myself in the work that was waiting for me. But then one day I went to the supermarket. I went to the produce section. The shelves were half empty. Of the produce that was there, most of it was either not-yet-mature or rotten. Because I was longing for peaches, I decided to buy some. (Not without reluctance.) BIG MISTAKE! Even after washing the peaches well, my lips were a little bit itchy, and the whole inside of my mouth was filled with an unpleasant aftertaste. What kind of “advanced society” is this? What kind of “quality of life"? We poisoned our food. The wheat is poisoned. (Wheat – the food that has kept the human race alive for millennia. And we poisoned it.) The milk is poisoned. The nuts are poisoned. What a strange “coincidence” that allergies to wheat, tree nuts and lactose are very common in the United States! The animals are filled with hormones. And, of course, the water is polluted. Of all the things on this planet in which we live (of which we have only one) that we could have chosen to pollute, which did we chose to pollute? THE WATER. I have quit buying produce at the supermarket. I now shop at a farmer’s market, not far from my home. Mind you, “farm fresh” is a misnomer. “Fresh from the farm” and “fresh from your backyard” are not the same thing. Farmers treat their crops. And so we arrive at the same problem. But perhaps, at age 51, I am still young enough that I will live to see that day that the United States of America produces unpoisoned fruit. Fifty years ago we already knew how to promote beneficial insects that eat or parasitize target pests. We also have biological insecticides, derived from naturally occurring microorganisms. Will this “advanced” nation of “quality” employ these methods and give up the poisons? Or will the makers of the poisons continue to buy the government and the scientific community? |
Diario dell’Esperienza Italoamericana
A Journal of the Italian-American Experience
martedì 20 settembre 2022
Alla ricerca di una percoca / In search of a peach
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